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LE COSE BIANCHE  "Tutto il corpo è genitale"
   (2020 )

Introdotto da un sinistro sferragliare che sa di penitenziagite e frustate mentre ricorda il clima mortifero di “Stati di agitazione” dei CCCP, “Tutto il corpo è genitale” è il nuovo lavoro per Hellbones Records/Spatter Records di Giovanni Mori, da lungo tempo nume tutelare del progetto Le Cose Bianche.

Operazione che travalica gli angusti confini della forma-canzone, è un incubo in undici tracce sventrate da recitativi slabbrati e rumori di fondo assortiti fra elettronica e industrial, un martellamento orrifico che ricorda i bei vecchi tempi di Sigillum S, Rsu e Test Dept.

Declinato in narrazione luciferina tra scariche acide e fragori distorti (“Lie”), grondante ferocia e risentimento, forse perfino terapeutico nel suo insistito sputare erga omnes, questo è un disco scomodo come un letto di chiodi. Magari non sorprendente per chi venga da determinati ascolti, forse già sentito da qualche parte in uno dei tanti vicoli ciechi della musica, ma santiddìo, che sberla.

Percorso doloroso senza redenzione. Compendio di rabbia, rassegnazione, disgusto, fallimento, desiderio frustrato e privazione del piacere. Tutto condensato nell’asfissiante martellamento ai limiti della sopportazione di “Ti auguro di rimanere da solo”, summa del Mori-pensiero, rebus fra i tanti in questo imbuto di elettronica analogica che invita curiosamente al riascolto nonostante procuri fastidio e disagio.

Nessuna apertura, nessuna concessione, nessun compromesso: nemmeno nel giro quasi indie di “Vaghe stelle dell’Orsa” o in quello à la Wolfango de “Il trattamento di giugno”, men che meno nel pulsare incalzante de “La sindrome del tramonto”, figuriamoci nello strazio uditivo della conclusiva “Quando il procedimento simbolico è la sola compagnia che ti resta”.

Bolla di livore, astio e ferocia, frastuono e marasma, è uno specchio che mostra il caos: sceglie di raccontare a pesci in faccia le interferenze, gli errori, le trappole, le imperfezioni, la parte malsana dell’essere qui, lo sporco che finisce sotto al tappeto, ciò che non funziona. (Manuel Maverna)