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OLDEN  "Prima che sia tardi"
   (2020 )

Occidente, libero mercato, patria e nazione.

Ecco le parole d’ordine del regime capitalista xenofobo in cui prende vita l’ultima opera di Olden. Una società distopica di un ipotetico futuro ispira il cantautore perugino, che in questo concept album di undici tracce ne racconta l’ascesa al potere e le inevitabili ricadute sulle vite personali dei soggetti deboli, come la perseguitata Zahira costretta a fuggire al riparo dal regime.

Davide Sellari, in arte Olden, perugino ma residente a Barcellona, è al quinto album con due candidature al premio Tenco, nel 2019 finalista come interprete per “A60” e nel 2020 con il disco di cui stiamo parlando.

Infatti “Prima che sia tardi” è un’operazione riuscita perché riesce a muoversi in un terreno in cui il rischio di cadere nella banalità e nella prevedibilità è dietro l’angolo, ma Olden affronta il tema con il giusto approccio, svelando i contorni della vicenda poco alla volta e rendendo il quadro finale solo alla fine, creando così la giusta tensione narrativa.

Ora non immaginatevi Claudio Lolli o un articolo di” Lotta comunista” (anche se ultimamente sta migliorando...): “Prima che sia tardi” è un disco coinvolgente, diretto, pieno di canzoni che arrivano fin dal primo ascolto.

Si parte con voci filtrate (sembrano molto vere e già sentite) che inneggiano alla triade patria, razza e libero mercato nella title track “Prima che sia tardi”, autentica calma prima della tempesta.

“Il giorno della Gloria” è la traccia musicalmente più interessante; sopra un basso ostinato e inquietanti accordi di piano, in un clima alla Scott Walker, una voce straniante tra cantato e parlato declama i diktat della nuova rivoluzione.

“Cittadini purissimi, orgoglio della nazione, al bando chiunque sia di un altro colore”.

Intro per piano e voce per “Aquilone”, un’amara invettiva contro chi vuole mettere le catene all’amore. Cupa e poetica, è uno dei momenti più alti del disco.

Si cambia ancora registro musicale in “L’oca nera”, con un andamento sferragliante alla Tom Waits, ancora introdotta da stralci di dichiarazioni molto reali (“pensate se noi ci facciamo togliere i canti natalizi da una banda di musulmani di merda”) si svela, usando la metafora dell’oca nera, la vera natura del mostro reazionario che “uccide e mangia pezzo a pezzo” e “odia tutte le razze differenti”.

Le conseguenze delle ideologie razziste del “partito del grande cuore” sulla vita di Zahira, figlia di emigranti, sono devastanti, con la segregazione, la fuga e l’allontanamento dagli affetti.

Qui il tono musicale cambia ancora, con brani acustici più intimi e raccolti come la commuovente “Non tu, noi”.

“Il clown” segna la fine del regime e fa venire in mente le statue che cadono a Bagdad o le ultime immagini di Gheddafi, il culto della personalità che si sgonfia e lascia nudo il re dittatore che appare per quello che è: un clown che non fa più ridere nessuno.

Nell’epilogo “Puntuale” si svelano tutti i nodi narrativi del concept, e nella ripresa elettrica della seconda parte torna anche l’ottimismo con una coda strumentale che sa tanto di chiusa.

Invece arriva “Fiume amaro”, che è una sorta di bonus track apparentemente slegata dal disco, frutto di una collaborazione con Umberto Maria Giardini: tra mandolini, banjo e suoni in reverse riprende l’atmosfera del disco, e il delicatissimo refrain cantato a due voci da l’ultima botta emotiva.

Olden mette insieme un’opera avvincente senza cali di tensione, che grazie a una scrittura molto diretta e alle sue abilità interpretative valorizza il vasto spettro di emozioni presenti in “Prima che sia tardi”.

Si sente molto, secondo me, l’influsso del rock indipendente della seconda metà degli anni '90 grazie all‘elegante produzione di Flavio Ferri (Delta V).

“Prima che sia tardi” suona già come un classico: quello che si potrebbe definire, dato il tema affrontato e la forma in cui viene sviluppato, un disco maturo. (Lorenzo Montefreddo)