ROOMMATES "Roots"
(2020 )
A tre anni di distanza dal debutto con “Fake”, i sanremesi Roommates sono tornati con “Roots”, un album che si ispira alla Divina Commedia a partire dal titolo e racconta, attraverso dieci brani, i sette vizi capitali, in un percorso di lenta risalita dagli inferi. Il quartetto ligure riparte dall’hard rock più puro, muovendosi agilmente fra alternative metal nei passaggi più concitati e aperture southern, concedendosi anche una ballata in chiusura (la titletrack) e qualche pezzo a presa più rapida. In apertura, “Path Of The Sinner” ingrana lentamente e si snoda su un sound raffinato e denso di elettricità, in particolare in coda, mentre le successive “Second One” e “Feed Me” flirtano naturalmente col metal. “Want” rallenta progressivamente e accoglie sfumature southern dopo un ingresso robusto e muscolare, prima che “Acedia” torni a lavorare su un hard rock piuttosto raffinato. La seconda metà di “Roots” è inaugurata da basso e batteria nell’adesiva “Deep Falling”, quasi marziale nel suo incedere, e prosegue con gli arzigogoli tendenti all’alternative metal di “The Contract”. “Pride” rievoca i maestri del genere con un fluire travolgente, poi “Summit”, prima della già citata “Roots” in chiusura, addolcisce il discorso con qualche nota melodica. “Roots” non cerca alcun tipo di innovazione, ma soltanto un’interpretazione pulita ed efficace del genere: l’obiettivo è pienamente raggiunto anche grazie alla buona varietà dei brani, e i fedeli dell’hard rock non faranno alcun tipo di fatica ad apprezzare. (Piergiuseppe Lippolis)