recensioni dischi
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ERODOTO PROJECT  "Mythos – Metamorphosis"
   (2020 )

Bob Salmieri al sassofono tenore e soprano, ney e clarinetto turco; Alessandro De Angelis al pianoforte e al Rhodes; Maurizio Perrone al contrabbasso; Giampaolo Scatozza alla batteria, e Carlo Colombo alle percussioni. Questo è il quintetto che forma l’Erodoto Project, una formazione che oserei definire “warm jazz”, in contrapposizione al cool jazz, a quella freddezza e pacatezza che caratterizzava un certa contrapposizione stilistica di qualche decade fa, nell’epoca del bebop. Lasciando da parte l’antica questione, questo jazz appare warm, caldo, caloroso, perché nonostante il virtuosismo dei musicisti (in particolare del pianista), c’è sempre un’attenzione per l’emotività espressa, una narrazione astratta, che trae spunto dalla mitologia, per la terza volta. L’album “Mythos – Metamorphosis” è l’ultimo di una trilogia dedicata ai miti mediterranei. Non a caso, loro definiscono la loro musica “jazz mediterraneo”. “Meleagro” apre l’odissea con un 9/4. Alla fine del complicato assolo di pianoforte, Salmieri lo raggiunge con il sax ricalcando pedissequamente le ultime rapide note: ciò fa intuire che anche le parti solistiche non siano del tutto improvvisate. In “Aci e Galatea”, il batterista si diverte a modificare il ritmo, disorientando l’ascoltatore, e l’intervento del sax soprano è mellifluo, carico di pathos. “Ifi e Iante” è invece più densa di vivacità serale, complici le percussioni. “Sibilla Cumana” è una composizione che prevede anche l’intervento del Mirò Strings Trio: Fabiola Gaudio al violino, Lorenzo Rundo alla viola, Marco Simonacci al violoncello. Il trio comunica col quintetto in un lento fluire di tensione febbrile. Con “Pasiphae” si torna ad un ritmo incalzante, e a giochi armonici intriganti. In “Hierà” possiamo ascoltare il ney, un tipico flauto iraniano (precisamente “persiano”), dal suono particolarmente brillante ed emozionale. “Dedalo”, grazie all’uso del Rhodes, ci conduce in un tintinnante sogno, nel clima di... quando Lupin apre un caveau pieno di dobloni luccicanti. Il batterista ancora una volta si diverte a cambiare ritmo, stavolta in modi molteplici e repentini, rendendo il sogno surreale. “Danza della Luna” non è una bossa, ma ha un lontano sentore latino americano. Violino e sax si trovano ad armonizzare insieme, per ottenere un terzo suono colorato. Curiosità in “Cauno e Bibli”: nella melodia c’è un richiamo, troppo esplicito per essere casuale, all’inizio di “Bella Ciao”. Non sappiamo se sia voluto e/o se abbia qualche affinità con la tragica vicenda di Bibli e il suo amore impossibile. “Filitis delle Piramidi” supporta una certa malinconia di violino, sostenuta da un ritmo gentile ma incessante. E qui Scatozza ha lo spazio per improvvisare su fusti e piatti. La sirena salernitana “Leucosya” chiude l’album, in una sospensione impalpabile quanto movimentata. Gli Erodoto Project ci salutano, facendo immaginare che dopo aver suonato si ritrovino a cenare in una tavolata di fronte agli scogli. (Gilberto Ongaro)