GIANLUCA TESTA "Nomade digitale"
(2020 )
“Nomade digitale” è musica leggera che si ostina - a ragione o a torto - a suonare radiofonica. Il nomade digitale è invece colui la cui vita lavorativa ha esclusivo punto di riferimento il laptop. Luogo principale delle proprie vicissitudini: il mondo virtuale di internet. Grazie a ciò, non avendo obblighi di dimora fissa, viaggia senza sosta. Anche Gianluca Testa ha viaggiato ininterrottamente, per un anno. In questo arco temporale ha scritto canzoni, quelle che compongono questo album. Sono brani dai testi di vita vissuta e da musiche, “intuizioni inconsce”, amalgama delle liriche. Canzoni che non verrebbero altrimenti fuori, se non grazie al filtro di una coscienza amplificata. Grazie alla quale ogni esperienza non passa inosservata, costituendo il presupposto per la celebrazione musicale. Con una profonda attenzione all’impatto che queste canzoni hanno, all’interno ed all’esterno di chi le vive e le scrive. Può sembrare semplicistico, ma non troppo. Ed ecco “Zu”, primo brano dell’album, primo esempio di ordinaria musica leggera dalle cadenze e melodie evocanti sostanziale allegria. Che cercano l’impatto e la visibilità con una serie di frasi ad effetto o latenti slogan. “Antifragile”, di similare connotazione lirico-musicale, anticipa “Licenza bambino”. Quella che, nonostante i contenuti in un certo modo evidenzianti importanti passaggi della fase infantile, è un connubio di melodie che va dallo strimpellamento chitarristico alla “Gianna”, del compianto Rino Gaetano, al ritornello con melodie alla Oasis. “Cronopio” dalle atmosfere prettamente ironiche e scanzonate. Poi “Mondo buffo”, dall’ambientazione appena un po' seriosa, anche se complessivamente rivolta al medesimo pubblico, con lo stesso linguaggio ordinariamente acchiapp’attenzione. “Melancolia” è invece un po' diverso dagli altri brani e, forse per questo, più interessante. Con venature lievemente nostalgiche nella musica e nel linguaggio, singolari per brani del genere. “Day after” dal cantato alla Cesare Cremonini dei primi tempi, ci fa saltare automaticamente a “Riflessologia plantare”. Ossia una melodia alla Blur di “Country house”, col ritornello timidamente rockeggiante, per celebrare la bellezza di una riflessione favorita da un massaggio ai piedi. “Nomade digitale” con le sue “stanze e distanze”, evoca ancora ambientazioni alla Blur e ci porta poi a “Giappone” e “Fortunadrago”. Le due melodie tese ad esaltare certe storie d’amore, per ascolti prevalentemente giovanili, con tanto di necessità di distacco dalla triste realtà. Per finire con la bossa nova di “Piedimonte”, ch’è l’altro brano più interessante, per gli arrangiamenti elaborati e per il testo, chiaro, non scontato e non urlato. Album complessivamente standardizzato, che, nonostante abbia una base solida di contenuti lirici e musicali, non propone novità particolari. E’ apprezzabile una certa frenesia di volere andare oltre, di volere comunicare quanto più possibile, pur però senza mai uscire dai tipici schemi musical-discografici. Gli schemi che costringono il pathos musicale all’interno di certi limiti, con l’ansia e la preoccupazione di creare standard musicali il cui primario scopo pare sia solo quello di voler piacere o risultare afferrabile quanto più possibile. (Vito Pagliarulo)