recensioni dischi
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RODO  "Calma apparente"
   (2020 )

Quello di Rodo, genovese classe ’87, alle spalle una militanza importante nel sottobosco indie, è un modo solo illusoriamente classico di essere cantautore. Una via sì semplice, essenziale e garbata, ma complicata da un’indole accidentata e introversa.

Sospese tra arie lievi che sanno di Niccolò Fabi e di Colapesce prendono forma in “Calma apparente”, interessante debutto per Marsiglia Records, nove episodi intimi e delicati quanto basta a tracciare il profilo di un album il cui contenuto è fotografato alla perfezione fin dal titolo: a contrastare la morbidezza di queste esili composizioni avvolte in tenere melodie sono parole insinuanti, a volte dimesse e addolorate, dall’ingrigita indolenza di “Agosto” alla piccola vicenda triste di “Renato”.

Per narrare testi che smorzano con sbavata amarezza le armonie docili che li veicolano, il crooning di Rodo si mantiene volutamente low-profile, svagato e pigro; talora adotta accenti prossimi perfino a certo fresh rap (“Controvento”, “Crisi passeggera”), altrove è invece intriso di una implicita devozione per Lucio Dalla o assume i connotati del Carboni più maturo.

Ma – si diceva - Rodo arriva dall’indie, e le progressioni dilatate della chitarra rimandano in più occasioni a quelle latitudini, si tratti del giro vagamente psichedelico di “Parole da dire” o della tessitura rarefatta di “Dino”, passo quasi à la Foals ed ermetismo in pillole. A suggellare un disco né immediato né superficiale resta l’eco dell’esistenzialismo afflitto della title-track, che chiude sull’ennesimo rallentamento laid-back dispensando le ultime sillabe di ordinaria desolazione: “Un destino da pugile/un finale al tappeto”. Con i migliori auguri di sbagliarsi. (Manuel Maverna)