RITMO TRIBALE "La rivoluzione del giorno prima"
(2020 )
“Repressione è civiltà”. E’ con questo intro estrapolato dallo storico monologo del film cult “lndagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” che, dopo più di una decade di silenzio discografico, sulla base di tali presupposti, riprende forma il progetto Ritmo Tribale. Riprende in un contesto musicale completamente mutato rispetto a quando, nei memorabili anni novanta del secolo scorso, i nostri scorrazzavano da un live concert ad un altro, in Italia ed in Europa. Riprende con “La rivoluzione del giorno prima”, album dal titolo abbastanza eloquente, realizzato per la Bagana/Pirames International. Orientato verso la narrazione di quelli che insistono che “bisogna cambiare tutto, però oggi ormai è tardi, vediamo domani”. Ed è un po' la storia di quelli della generazione degli anni novanta. Di quelli a cui pareva si stessero scoprendo chissà quali nuovi mondi da esplorare, in conseguenza di eventi belli e brutti che determinarono il mutamento di condizioni di vita in cui attualmente ancora versiamo. E’ una rivoluzione che andava fatta prima. Prima di quando poi, però, è scappata l’ora. Dunque sul groppo si ha ora, appunto, una rivoluzione del giorno prima. E si naviga a vista, sperando che il cielo non cada sulla testa. Quest’album ha un “Intro” poco nostalgico, dal pianoforte espressivo e dal sax appena premonitore, fino all’intervento canoro di Andrea Scaglia, che pare voglia introdurci all’interno di una nuova dimensione spazio-temporale-musicale. Rapidamente assestata dal colpo alla nuca di “Le cose succedono”, vero primo brano dell’album, con la giusta verve del pezzo introduttivo. Nuova dimensione musicale, figlia di un periodo archiviato, sì, ma non defunto. Anche per questo, d’altronde, non si vuol “vivere in provincia di quello che poteva essere ma non è stato”. La title-track invece, col suo andamento e l’ambientazione riflessiva, vuole mettere insieme tutti i pezzi delle varie impressioni seminate in giro per anni. Il concetto rivoluzionario però s’inasprisce e al contempo meglio si affina con “Resurrezione show”, che è un testo riadattato in italiano sul brano dei Killing Joke, “The death & resurrection show”. Con la opportuna furia anti farisei, nei contenuti, e la fedeltà dell’adattamento musicale. “Milano muori” è al contempo una presa di coscienza verso ciò che ivi accade odiernamente ed una sorta di dichiarazione di affetto, tanto da specificare il concetto in quel “amo questa città, tanto che la vorrei morta”. Con “Jim Jarmusch” invece sembra essere tornati ai tempi rock punkeggianti degli esordi. Con la stessa carica e la stessa tensione emotiva/sonora. Si direbbe questo sia il brano in cui più emerge la natura tipica dei Ritmo Tribale di una volta. A primo acchito si tenderà ad associare il brano ad album degli esordi o a qualche raccolta di b-side. In realtà è uno dei brani più riusciti. Poi il giro apocalittico di basso sotto fuzz introduce e traghetta fino alla fine l’ascoltatore in “Cortina”. Brano oscuro, dalla melodia negativa, dal testo nervoso e sfuggente. “Autunno” è invece dotato di un potente impatto emotivo. Roba che carica e dà il giusto colpo con la ritmica adatta. Che si assembla perfettamente tra strimpellii chitarristici, stacchi, colpi di tom e poi l’inattesa ed affascinante entrata del sintetizzatore. Infine, “Buonanotte”. Quel brano dall’album “Mantra” del 1994, qui ridimensionato e arrangiato nuovamente per solo pianoforte. Un modo per accentrare l’attenzione sulle figure retoriche tratte dai versi. Dunque questo è un album positivo, che non si aspetta. A causa o per fortuna del fatto che si tratta di una band ben legata ad un passato rock che poi ha smarrito la retta via. Ora, per fortuna, loro sembrano tornati. E chissà che ciò non sia segno di chissà quale rinascita musicale, in tempi oscuri come questi. (Vito Pagliarulo)