OWL "Mille feuille"
(2020 )
Karl Bjorå e Signe Emmeluth sono musicisti norvegesi artisticamente avvezzi alle sperimentazioni ed alle contemporaneità d’ogni tipo, avendo alle spalle anche un certo background di jazz e musica d’improvvisazione. Insieme fondano il progetto Owl. Un particolare modo d’intendere la musica ove regna l’analisi, l’elaborazione e l’esecuzione improvvisata del suono. Attuale testimonianza di ciò è questo album, “Mille Feuille”, appena uscito per la storica Sofa Records, album che prende curiosamente il titolo dal nome dalla torta francese millefoglie, anche conosciuta come Napoleon. E’ un album registrato in tre giorni a Hemnes, in Norvegia, presso un vecchio edificio scolastico, in seguito adibito a fucina artistica. In questa dimensione hanno luogo le elaborazioni e le manipolazioni sonore, su materiale compositivo vario, elaborato in un arco temporale di due anni. Le intenzioni artistiche, in merito al trattamento del suono, sono variegate ed entrambi i musicisti si servono delle convergenze/divergenze di vedute per creare (o elaborare) opportunamente il loro sound. Operando per il tramite di elementi sonori quanto più possibile conferenti alla musica una certa profondità o concentrazione. Punto focale dell’album è il primo brano “Upon arrival you forgot why you left”, dal titolo che dice già abbastanza. È un concentrato (per modo di dire) di fasi variegate. La prima fase, mista di suoni (sax, strimpellii chitarristici, sibili), s’immette da un certo brusio elettro-elaborato in un continuo variare di forme sonore. Ed è appunto la variazione una delle caratteristiche principali del brano. Il tutto per una durata della traccia di ben 20min e 47sec. Il senso di tutto ciò è nella molteplicità di facciate sonore che la sperimentazione e l’improvvisazione riescono a tirare fuori nella cosiddetta fase di music production. Col pathos e l’intenzione appartenente esclusivamente al momento in cui vengono eseguite, per la prima ed ultima volta. Così come vale anche per il jazz. Le tracce seguenti dell’album ripercorrono, in un certo senso, i sentieri sonori tracciati dal suddetto primo brano. “On the lookout” è un’elaborazione su uno strimpellio chitarristico, con tanto di maracas ad evidenziare un ritmo di cui non si individua sincronismo con l’amalgama sonora prodotta. “Let’s crackle” è una bizzarria da sassofono, che si direbbe immotivata o troppo ermetica per attribuirgli una configurazione spazio-artistico-temporale. “Paradigm” riporta una sorta di ambient chitarristico, per così dire, disturbato da un sibilo elaboratamente sperimentale, che man mano si attenua e lascia intravedere un suggestivo paesaggio sonoro. “Dive deeper” è invece la traccia oscura ed impenetrabile dell’album, anche se risulta certamente affascinante proprio nella sua oscurità. Col suo bel gioco di feedback e delay in estensione e poi manipolazioni a volontà, prevalentemente ricalcanti frequenze basse. Infine “Consensus, time to leave” carico di lunghe pause, tra uno strimpellio e l’altro, quasi a dare spazio ad una strana tendenza indotta alla riflessione o alla meditazione. In un profluvio di suoni artificialmente assimilabili al cinguettio di uccelli ed altri rumori tipici di un bosco. Un lavoro certamente non facile all’orecchio di tutti. Probabilmente non facile neanche all’orecchio di molti che hanno maggiore conoscenza del genere. Sta di fatto che quella della contaminazione elettronica, con la sperimentazione e l’improvvisazione, è una tendenza musicale che sempre più si sbilancia ed esprime concetti in ambientazioni che, diversamente ed altrove, risulterebbero scontate. Se non inesprimibili. In tal contesto, gli Owl si trovano a loro agio e, al di là del linguaggio che praticano, riescono a farsi notare. L’ascolto poi dipenderà, eventualmente, dalla comprensione.
(Vito Pagliarulo)