LATENTE "Le cose importanti"
(2020 )
I Latente sono Francesco Panetta, Matteo Lullo, Marco Cagliani e Alessandro Villa, rispettivamente voce e chitarra, basso, batteria, chitarra.
Vengono da Trezzo sull’Adda, pochi chilometri da Milano, la quarta uscita sulla A4 in direzione Venezia.
Per quanto mi riguarda, i Latente da Trezzo sull’Adda fanno parte di quella ristretta cerchia di band – tipo i Dover, i Dèportivo, Les Fleurs Des Maladives, i Cloud Nothings e i Girls in Hawaii – che potrebbero piacermi anche cantando le istruzioni del Bimby o l’elenco degli eccipienti del diazepam.
Trascorsi dieci anni ab urbe condita, sei dall’esordio lungo (“Basta che restiamo vivi noi”), tre da “Monte Meru” che mi dà i brividi ancora oggi, “Le cose importanti” - che sono cinque come le dita di una mano sulla quale contarle, cinque come i pezzi che formano l’ep – interrompe un silenzio troppo lungo e dà ossigeno agli adepti del culto emocore di cui sono vessilliferi mai abbastanza lodati. Che poi, sinceramente, non so se si riconoscano in tutto e per tutto nella definizione di band emocore, anche se Francesco Panetta mi rispose di sì quando glielo chiesi un paio d’anni fa, una sera che andai ad ascoltarli all’Honky Tonky a Seregno.
“Le cose importanti” vede la collaborazione determinante di Davide Lasala (amo anche lui perchè, tra le altre cose, fa parte del progetto Giorgieness, che nel 2016 ha pubblicato”La giusta distanza”, per distacco il più bell’album italiano dell’anno a mia insindacabile opinione) come co-produttore e di Andrea Fognini in qualità di fonico. Siccome dura in tutto soltanto un quarto d’ora, mi tocca riascoltarlo in repeat finchè sono stufo o mi fanno male le orecchie o è pronto da mangiare.
Nella cartella stampa i ragazzi descrivono con dovizia di particolari e parole intime e profonde ognuna delle tracce. Carino, ma preferisco far finta di non averle lette, quelle note, per quanto sincere ed appassionate.
Il bello di gente come i Latente è che le loro canzoni sono le tue canzoni, e ne puoi fare ciò che vuoi. Prendi quelle parole e te le fai girare in tasca come ti pare, le adatti a come ti senti, che tanto ci sarà sempre una buona occasione per indossarle come un abito per ogni occasione.
Cinque tracce. Squadrate, classiche per il loro modo di esprimersi. Forse meno abrasive che in passato (“Paura non ne hai” la più spigolosa), ma fedeli alla linea. Voce sparata in faccia con le “e” aperte alla lombarda, intrecci tra le due chitarre mai troppo esasperati, sezione ritmica dritta nello stomaco. Testi, ah bè: tutto quello che ti serve in tre minuti. Roba perfetta per giovani depressi un po’ cresciuti, si direbbe. Ma io di anni ne ho quarantotto suonati: sarò Peter Pan, avrò conflitti irrisolti, boh. Per me, sono testi perfetti.
“Dalla finestra guardate il cielo/che come al solito promette male”, promette “Esco”, il pezzo di apertura che marca il territorio e segna l’andazzo generale, grazie al cielo sempre quello, sia benedetto.
“Ho scelto di essere una catastrofe/stanco di correre per essere il primo a perdere” recita la title-track. E “Claudio” è semplicemente una canzone commovente su un’amicizia mai realmente perduta, sui ricordi che la mantengono in vita neanche fossero un respiratore.
“Ogni sorta di opinione/tutto quello che mi dirai/lo lascio scivolare via/così da solo sorriderai/scusa se manco di attenzione/sembra che nulla mi prenda ormai/e se piove o se c’è il sole/cosa vuol dire stare bene/non devo essere normale”, chiude “Opinione”, ed è quello che serviva, non una sillaba di più, non una nota di meno.
Fosse per me sarebbe il disco dell’anno già ad aprile, ma sono cinque canzoni in quindici minuti e non mi crederebbe nessuno, anche perché sono di parte.
Fosse per me sarebbero headliner all’SXSW, ma non credo che andrà così.
“Non so se mi sento bene/la mia testa è un temporale”.
Ci piangerò su ben volentieri, fino alla prossima. (Manuel Maverna)