recensioni dischi
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SARA MARINI  "Torrendeadomo (ritorno a casa)"
   (2020 )

Si legge “Torreandeadomo”, dal sardo si traduce “ritorno a casa”, ma s’intende terra, aria, acqua e fuoco. I quattro elementi primordiali stanno lì, senza tempo, tra la Sardegna e l’Umbria. Tra due “isole” circondate dal mare e dai monti. Una, esposta verso l’ignoto, l’altra, arroccata al fine di proteggere vite. Una fusione di mondi ancestrali con realtà moderne. Brani musicali per un viaggio cantato in lingua sarda, in dialetto eugubino (della città di Gubbio) ed in italiano. Filastrocche, ninne nanne e affanni di mamme, angeli custodi, presenze misteriose, amori antichi, re e castelli, pene d’amore e desideri di pace da coltivare su una certa terra. Poi libertà e paure per nuove radici. Tutto questo canta Sara Marini. Che ha alle spalle anni di studi sulle tradizioni italiane ed internazionali, esperienze musicali di svariato tipo in canto tradizionale e popolare, sonorità latino-americane, e poi canto jazz e pop. “Torreandeadomo” è un album che riporta alle radici, alla provenienza dei popoli. Al ritorno all’essenza ed alla purezza. All’uomo, così com’è, composto dai soli quattro elementi primordiali. “Una rundine in sas aèras” e “Terra rossa” hanno il compito di iniziare il lavoro, danno le prime impressioni e delineano il territorio. Trasmettono i tratti e le peculiarità di melodie istintive, di ataviche provenienze. Degne di nota, in particolare, sono le vivacità e le colorazioni armoniche degli arrangiamenti per flauto, in accompagnamento alla seconda traccia di cui sopra. “Solo ‘nna vita” accenna a melodie che sanno appena di più di musicalpopolare. “Pitzinna deo”, di particolare interesse, è una melodia d’altri tempi, con arpeggi e parti cantate parzialmente evocanti certe enigmatiche melodie seicentesche, di corte, tipiche di compositori e liutisti quali John Dowland. “E me ne voglio andare” riflette la purezza di contesti appena orientali, poi celtici, con richiami che sanno di vento e sole e poi comprendono altre emozioni sonore. “Già gioca” brano strumentale dalle movenze ritmiche celtiche, fa da ponte alla successiva “Bellezza perfetta”. Questa, particolarmente articolata, melodicamente, con un profluvio di immagini metaforiche, nelle liriche, che chiedono ed ottengono pathos dalle rispettive melodie, anch’esse opportunamente arrangiate. Poi la filastrocca musicata di “Straccia minaccia”, ch’è un risveglio piacevolmente altenante, dovuto ai suoi scherzi di tonalità e poi alla (attesa e) spedita partenza, con un formidabile arrangiamento in flauti, intrecciato e che va poi a cadere proprio nella ritmica frenetica della successiva “Trucci trucci – badarelle”. Una taranta, un ballo di San Vito che s’alterna con cornamuse possenti, dissuasive da tutto ciò che, a questo punto, potrebbe portare a pensare si tratti di una semplice ritmica di derivazione salentina. Dissuasivo anche a causa (o grazie) all’intermezzo, appunto “badarelle”, che tende a confondere felicemente l’ascoltatore. “Bentu lentu” è carica di passaggi canori e parti soliste strumentali che spaziano tra la musica popolare, la tarantella, la musica araba. Mentre “Michelina” è una canzone-favoletta in fisarmonica e chitarra acustica, con oggetto la purezza dei gesti, la normalità dei movimenti, la naturalezza della protagonista, così legata al ritmo delle stagioni. “Pregadoria” è infine una preghiera in melodie acustiche, medieval-rinascimentali, che conclude il lavoro e lascia l’ascoltatore a pensarci su…a meditare. Circa la purezza, l’essenza, l’autenticità del suono e del canto. L’essenzialità e la ricerca che diventa qualità. (Vito Pagliarulo)