MARONGIU & I SPORCACCIONI "Mulo de paese"
(2020 )
Se andate in Friuli-Venezia Giulia, dovete stare molto attenti a non confondere Friuli e Venezia Giulia. Sono due aree culturali diverse, e loro ci tengono tantissimo a specificarlo. La bellissima storia che raccontiamo oggi è però ambientata nel punto di congiunzione, nel goriziano, in una zona linguistica chiamata Bisiacaria. Il dialetto bisiacco fonde veneto, friulano e sloveno. Marongiu & I Sporcaccioni crescono qui. “Mulo de paese”, terzo album della band, vanta una produzione professionale, ed ospiti di prestigio come la leggenda sarda Joe Perrino, per raccontare vicende tra il reale e il surreale, con spirito dissacratorio. Il loro blues-rock apre l’album con “Pronto a guar”, dove Marongiu narra la sua coraggiosa scelta di licenziarsi dalla fabbrica dove lavorava, per dedicarsi alla musica e a “guar”, cioè… a scopare: “Me sento rinato, me so licensià, finalmente respiro e son pronto a guar (…) se demo baseti come i putei (…) te guo tuta a note”. “Volpe russa” è un racconto politicamente scorretto sulle storie note di donne dell’est che sposano, sottomettono e prosciugano ingenui uomini italiani (“Xé la fia de Putin”). “Sio Buck” è un ricordo cinematografico, di un film dove lo sgangherato zio Buck creava imbarazzo ai nipoti. Un arrangiamento perturbante riscalda “Condannà”, dove la voce di Marongiu viene raggiunta dai ringhi di Joe Perrino, che prosegue il racconto sventurato: “Io son fragile lo so, lo comprese la maestra, jero un caso disperà, che puteo già rovinà, sono un uomo condannà”. “Non me ricordo più”, tra chitarra acustica e slide elettrico, sembra affrontare un’amnesia: “Non ricordo de i to basi, non ho memoria de l'amor, né di quelle bele frasi che te disevi a colasion, no ricordo de to mare, no ricordo to papà”. “Isons” è un omaggio al fiume Isonzo, che in stile Skiantos diventa una canzone di appartenenza: “L’Isons no xé un fiume inocente (…) l'Isons lava i to pecati, certi li sconde ma i vien su (…) I bisiacchi semo noi”. Finalmente i battiti accelerano, per correre con la titletrack. “Mulo de paese” è un punk-rock sui muli (che sta per “ragazzi”) sempliciotti: “Innioranti sensa pretese, 'ndemo ormai par i trent'anni femo sol che danni (…) g'ho na testa tuta mata, dura come na pignata”. Ancora divertimento, che piacerebbe a Freak Antoni, in “Droga & teppisti”: “Droga e teppisti xé quel che serve par vivere a Monfalcon”. Un country-rock accompagna l’evoluzione della vita di “Gerry”: “Pensavo a quel mona che se g'ha brusà el servel (…) no xé più quel muleto timido”. “Viva Adelina” è un’improbabile richiesta telefonica di fare la canzone di Celentano “L’emozione non ha voce”, alla quale I Sporcaccioni rispondono con un altro pezzo indiavolato, “Febbre”: “No provare a sofegarme con le tue stupide richieste (…) quando te torni lavorar te rispondo fanculo, sono un uomo con la febbre, ‘na scovassa che sta mal”. (Traduzione “scovassa”: sacco della spazzatura). Si parlava di confini, ed ecco che “Bisiac e no furlan” ribadisce la differenza territoriale: “Mi son bisiac e ti furlan (…) no ti si mai un po' felice, e va d'acordo sol col prete (…) forse un giorno noi trovaremo pase, in furlan dirò la mia prima frase, omo me dispiase ma no parlo furlan”. Se prima “Condannà” proponeva un giro perturbante, ora “Imbriaga”, punta di diamante dell’album, ci porta in quella sensazione da film di Tarantino e Rodriguez, con quel misto tra compiaciuto erotico e tragico messicano. Poesia noir. “Jero imbriaga, me g'ha scrotada e fotografada. No lo volevo, a xé cussì che son finida, ‘na note de piova, a casa de Louis. Che colpa g'ho, se el me piaseva, jero imbriaga, in fondo fasevo quel che dovevo. E me moroso, quel vanitoso, al finia sempre che g'ha so pare in ospedal (…) Nell’ascensore dell’albergo, urlare al mondo la gioia segreta delle mie avventure. Come una ricca ereditiera, schiacciar coi tacchi le palle ammosciate di tutti i miei ex”. Da sottolineare il sinuoso basso tra queste parole, e nel ritornello le armonizzazioni di sax. Il viaggio termina con uno swing fischiettato, fra schiocchi di dita e piano stonato: “Veci nevrotici”. “Semo veci stanchi, una copia decennale, spesso vardo le mulette e ghe fasso un pensierin (…) Ma che copia de nevrotici, ma che copia de imbecili semo noi”. Marongiu & I Sporcaccioni faranno felice sia chi ama sentire il dialetto, chi la musica demenziale, chi il blues; è proprio vero che il dialetto, così legato alla terra, nonostante i suoi paletti di comprensione, rivela quanto le storie di provincia siano le più universali. (Gilberto Ongaro)