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LES ANGES DE LA NUIT  "The witch"
   (2020 )

Tanto deliziosamente démodé da ergersi ad autentico must per un pubblico âgée di laudatores temporis acti e nostalgici incalliti, Les Anges De La Nuit sono un duo della Florida formato dal cantante, producer e autore Richard Abdeni e dal tastierista Anthony Stuart, con “The witch” al quinto album di una lunga ed onorata carriera varata nel lontano 2003.

Per capirci, siamo in pieni anni ottanta, nel nome di un electro-dark penetrante ed ossessivo, al servizio di una musica sì antica, ma proprio per questo capace di far riaffiorare ben più di un ricordo, una sensazione, un brivido cavernoso.

Eleganti e composti, brani lugubri quanto basta per incasellarsi in un immaginario da dolce incubo viaggiano lungo oscure pulsioni rabbuiate da atmosfere plumbee: vezzo o stilema che sia, a conferire al tutto un tocco ancora più arty concorrono i testi, che per metà sono in francese, a ricordare perfino i migliori Indochine (la voce profonda di Richard richiama in più occasioni quella di Nicola Sirkis, come nell’algida “Si jamais”).

E se la title-track in apertura ammannisce il fiero pasto con una sberla à la Gary Numan che detta i ritmi ed il programma, “Master and Servant” offre una versione edulcorata della catacombale profondità dei Sisters Of Mercy col suo baritono suggestivo, mentre “Trois Points De Suture” lambisce i Depeche Mode periodo “Black Celebration” e “Gimme gimme gimme” affida ad un beat incalzante il suo messaggio in bottiglia. In aggiunta, la scelta di ripetere alcuni versi come in un mantra (“Voyage”, “There is no heaven”) rende ancora più ossessivo e martellante il tutto.

A separare questa musica piacevolmente desueta ed anacronistica dalla semplice rievocazione storica del passato sono bei suoni pieni e rotondi, in definitiva ciò che attualizza questa proposta d’antan ai tempi moderni, sebbene non credo che le nuove generazioni la gradiscano: troppo distante dalla contemporaneità per nasconderla sotto le occulte spoglie di arrangiamenti di stampo classico, seppure supportati da un’eccellente produzione.

Ora, trovate voi un’altra band americana che proponga un tetro ed ancestrale synth-pop di matrice europea (inglese à la Soft Cell? Teutonico à la No Carrier?) cantando spesso in francese: fosse anche solo per questo, e per omaggio alla costanza, varrebbero già il prezzo del biglietto. (Manuel Maverna)