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FLYING CIRCUS  "1968"
   (2020 )

La prog rock band tedesca Flying Circus ci fa compiere un viaggio nel tempo e nello spazio, col nuovo album “1968”. Muniti di batteria, basso, chitarra elettrica, Hammond B3 e violino, la voce ci racconta cosa accadeva in quell’iconico anno, in diverse parti del mondo. Il viaggio parte da “Paris”, dal celebre maggio francese, raccontato con suoni circolari (diffuso effetto di flanger) e lisergici su un rock moderato. Su una zona anarchica, presentata come una falsa coda, la voce ripete: “And we’ll marching”. Da Parigi ci spostiamo a “New York”, dove si scatena la rivolta. Da notare piccoli dettagli musicali: un inciso all'unisono di basso, chitarra e organo, una poliritmia fra basso e battito di cimbalo della batteria, e nel complesso un brano andante e cadenzato ma dall’intenzione luciferina. Nel frattempo, con “Prague” ripercorriamo gli eventi della Primavera di Praga. Il pezzo si basa su progressioni impazzite ed oscure di pianoforte, e verso la fine decolla un assolo di synth. Un breve strumentale con violino protagonista, che si comporta come un fiddle irlandese, in “Derry” ci ricorda l’inizio delle proteste fra cattolici nazionalisti e unionisti protestanti, che inizieranno una guerriglia tristemente nota. “The hopes we had (1968)” è un brano di sosta, dove si riflette sui sogni e le speranze di quella generazione. Il ritmo si alterna da una chitarra acustica “ottimista” ad una marcetta shuffle stile Genesis, per poi passare ad una fase trascinata e psichedelica. Il violino ci porta nel dramma di “My Lai”, in Vietnam, dove dei militari statunitensi compirono un massacro di civili, come vendetta per un attacco subito dai vietcong. Un’altra truppa USA raggiunse il luogo in elicottero e fermò l’eccidio, puntando le armi contro i propri soldati. Il suono di un elicottero fa infatti partire la parte cantata del brano. A parte il crimine raccontato, in questo brano c'è una golosa sessione strumentale, con batteria veloce e chitarra e violino che armonizzano assieme. Con “Memphis” torniamo nel Paese a stelle e strisce, per ricordare l’assassinio di Martin Luther King, con un pezzo cadenzato dalla melodia celebrativa; nell'arrangiamento rock classico, compaiono ad un certo punto anche dei tromboni. Mentre in “Vienna” siamo invasi dal funky con suoni gommosi di chitarra ed il Clavinet. Ultima tappa “Berlin”, un hard rock che però al centro lascia spazio ad un oscuro pianoforte, per poi avviare una fragorosa ripresa, con l’Hammond scatenato. L’album è chiuso da “The hopes we had (Reprise)”, dove il tema principale viene riarrangiato da violino e suono di clavicembalo. Facendo un particolare plauso al tastierista, chiosiamo ricordando come il 1968 appaia un anno sempre più lontano, non soltanto per l’ovvia distanza cronologica, ma per lo sfaldamento di qualsivoglia idealismo, senza validi sostituti morali, e questo 2020 fatto di pandemia e paura, sembra essere l’epilogo dei cinquant’anni più fortunati per l’Occidente. Per cui, l’operazione dei Flying Circus, più che riciclare la celebrazione nostalgica di un passato colorato, assume un valore di memoria storica. (Gilberto Ongaro)