GIORGIO GABER "Con tutta la rabbia, con tutto l'amore"
(2006 )
'Con tutta la rabbia, con tutto l’amore - Collezione 1970-2000', una raccolta di 43 brani del Teatro Canzone di Giorgio Gaber. Una sintesi delle canzoni più significative in un triplo cd che raccoglie trent’anni di carriera per approfondire l’aspetto del Gaber musicista. Questa antologia è una sintesi non integrale ma sicuramente esaustiva, di trent’anni di attività discografica di Giorgio Gaber. Un’attività, come noto, interamente riferita a quel particolarissimo genere teatrale da Gaber e Luporini inventato e da loro stessi definito Teatro Canzone. Fino ad oggi, discograficamente, erano disponibili tutte le registrazioni integrali degli undici spettacoli allestiti tra il 1970 e il 2000. Oltre ventidue ore di canzoni e di monologhi; un patrimonio immenso che riguarda trent’anni della nostra storia realizzati da un protagonista della cultura italiana del secondo novecento. L’esigenza di realizzare una sintesi di questo articolato e complesso repertorio non era ulteriormente procrastinabile e questa raccolta cerca di offrire uno spaccato attendibile ed equilibrato di tutte le intuizioni fondamentali di Gaber e Luporini: la denuncia delle convenzioni ed il contemporaneo rischio concreto di restarvi tutti intrappolati (“La festa”, “Al bar Casablanca”); la ricerca di un’identità (“Cerco un gesto, un gesto naturale”); il rifiuto di finti perbenismi (“L’odore”), mode e conformismi (“Quando è moda è moda”), banalizzazioni del reale (“Destra-Sinistra”). E poi ancora le denunce più violente su quanto Gaber vedeva intorno a sé unite però a tutti i valori fondanti della sua inesausta ricerca etica molto ben espressa in “Buttare lì qualcosa”, e declinata nei concetti di concretezza dell’agire (“Un’idea”), nella necessità di dialogo e confronto (“C’è solo la strada”), nell’importanza di ridare spessore al nostro essere uomini (“I padri miei”, “I padri tuoi”). Fino alle straordinarie riflessioni sul rimosso tema del dolore (“Gildo”) e sulle responsabilità dell’amare. Per giungere a dare una possibile, quanto convinta, risposta ai drammi della nostra contemporaneità nella finale e decisiva “Una nuova coscienza”. Il percorso di questa antologia favorisce anche un doveroso approfondimento del Gaber musicista. L’ascolto di queste quasi quattro ore di registrazioni ci consente di mettere in risalto diversi aspetti fondamentali della parte musicale del Teatro Canzone. Il primo, banalmente, è la qualità delle interpretazioni di un Gaber cresciuto vocalmente ed espressivamente anche grazie alle spesso sottovalutate esperienze di cantante leggero degli anni Sessanta. Si prendano ad esempio la sua delicatezza in “Io e le cose” o quella voglia di far musica che emerge quasi fisicamente anche dal suo cantare in modo sbarazzino quanto perfetto “Lo shampoo”. E più in generale la pulizia vocale che mai viene meno e l’insuperabile capacità interpretativa che caratterizza tutte le incisioni. Dal punto di vista della costruzione dei brani, gli stacchi di crescita gaberiani sono netti. All’inizio degli anni ‘70 c’è un insistito guardare a Brel. Poi la capacità di far tesoro degli anni nel pop consente a Gaber di scrivere brani accattivanti ma densissimi di emozioni e concetti (“La libertà” su tutti). Quindi la crescita della teatralità, sia quand’è declinata in invettive (“Quando è moda è moda”) sia quand’è destinata a divenire emozione (“Il dilemma”). Ed infine, nel periodo conclusivo, quando il teatro fa quasi aggio sulla forma canzone e la rende lunga, complessa, intrisa di concetti, ecco da un lato il giocare su moduli espressivi moderni ed accattivanti dall’altro il non scordarsi mai della melodia propria dei grandi compositori classici (il crescendo di “Io come persona”, il finale arioso de “Una nuova coscienza”). Vale la pena, insomma, riscoprire – o scoprire - Gaber anche da questo versante musicale. Soprattutto perché nei trent’anni di Teatro Canzone che questo lavoro vuole sintetizzare, Giorgio Gaber ci ha gridato di non scansare i cadaveri delle nostre meschinità, di non rinchiuderci nell’ipocrisia fingendo che sia qualcos’altro, di non scordarci che gli angeli della coscienza non danno appuntamenti, di non diventare reduci di noi stessi, di non perdere mai di vista slancio, sogno, utopia, di imparare ad esercitare il potere, sì, ma sulle nostre debolezze prima di tutto, di amare come quando respiriamo, di non insabbiare il concetto di responsabilità, di tentare di non perdere consistenza etica, di provare ad avere le ali per tornare a volare sugli squallori di questa società che privilegia l’avere all’essere, di non cedere ad alcun pretesto che ci possa spingere a non affrontare la necessità di essere uomini. Dai palcoscenici di tutta Italia, per oltre tre decenni, Giorgio Gaber ci ha esortato a vivere il presente: anche se questo presente è tanto provvisorio da farci paura. E ci ha urlato di non accettare come destino ineluttabile quanto invece è frutto di una libertà “obbligatoria” od esito di troppe scelte ipocrite effettuate per quieto vivere. Nella raccolta che presentiamo queste sue urla sono ancora vitali e ci ricordano che il Signor G gridava per l’uomo. Gridava per noi. Con tutta la rabbia, con tutto l’amore, con tutto sé stesso.