recensioni dischi
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ANNO MUNDI  "Land of legends"
   (2020 )

L’iperpole sonora espressa dai Black Sabbath per mezzo secolo, ha decisamente lasciato il segno continuando a manifestarsi nell’indole stilistica di numerose bands, a tal punto da rendere la ciurma di Ozzy Osbourne praticamente immortale. Questa sorta di “devozione” è palesemente riscontrabile anche nel quarto disco dei capitolini Anno Mundi i quali, stavolta, rafforzano la matrice autorale con l’innesto di altri tre componenti, provenienti dai Martiria e dagli Ingranaggi della Valle. D’altro canto, era auspicabile che i due navigati Anno Mundi founders (il guitarist Alessio Secondini Morelli e quella vecchia conoscenza del drummer Gianluca Livi, già titolare di molti progetti) non rimanessero nel loro ghetto ideativo, tendendo la mano ad ulteriori arricchimenti del sound. In premessa di “Land of legends” c’è la placida intro di “Twisted world’s end”, presto predestinata ad essere decorata con graffiatine di chitarre che non travalicano mai l’opulenza, mentre già scalpita la più bella (e lunga) del reame: con “Hyperborea” non si passa di certo un brutto quarto d’ora, tanta è la fantasia propositiva che si plaude in automatico, con mirabolanti inserti d’acustica ed archi che ci portano a fantasticare in un lampo, tra eleganza stilosa e dirupi ossessivi, al limite dell’incubo dirompente con divagazioni prog. La quieta “Black Energy” ristabilisce gli equilibri di un mood scosso e destabilizzato dall’estro del combo romano. Invece, la tenebrosa “Hyperway to knowhere” allarga la densità assemblativa con strani inserti tastieristici e certi passaggi psych, contaminati da quel capolavoro Floydiano chiamato “Ummagumma”. Altra suite, altra corsa; stavolta tocca ai 14 minuti di “Female Revenge” confermare quanto di buono si è udito nel viaggio dell’opera, ed ancora una volta la band riesce a variegare l’offerta con soluzioni ora estranianti, ora classic-hard guarnite con keyboards seventies e matrice Sabbathiana. Fin qui concerne il formato vinilico, mentre la cd version annovera altre 6 tracce, tra le quali non si può tralasciare l’ascolto della granitica “Searching the faith” e della galoppante “Pending trial” in quanto si fa, oltre che un pieno energizzante, un bel carico di quel sound che fece la storia, rivitalizzato dall’efficace bilanciamento col prog, che gli Anno Mundi han saputo centellinare ed incastrare a pennello, per ottenere una formula capace di farsi apprezzare anche da chi mastica note morbide, ma pronto a divagazioni molto più soddisfacenti. (Max Casali)