PAOLO CAPODACQUA "Ferite & feritoie"
(2020 )
“Ferite & feritoie” è un album che sembra provenire da altri tempi. Un cantautorato raffinato, aulico, dalle sonorità leggere e non stridenti con i contesti letterari richiamati. Questo modo tipico di essere cantautori, attento alla parola ed alla sfaccettatura di un verbo, al suono di una frase, in connubio col necessario arpeggio di chitarra, sembra proprio essere d’altri tempi. Tempi in cui l’intelletto aveva il suo degno posto all’interno di gran parte della produzione musicale e spesso veniva messo a disposizione della protesta politica, tramite l’efficace vettore della musica. Tempi che sembrano remoti, ma non lo sono. E il cantautore Paolo Capodacqua, a distanza di trent’anni dal suo album d’esordio “Memorabilia”, dopo innumerevoli collaborazioni con Claudio Lolli ed altrettanto numerose esperienze musicali per l’infanzia, ci riporta ora, in qualche modo, a tutto ciò. E lo fa con un album dai toni leggeri e piacevoli, che nella sua narrazione passa dall’Olocausto a Giovanni Falcone, dai naufraghi della vita e dai passaggi esistenziali, agli aviatori, ai segreti amanti o ai ladri improbabili. Passa anche da Julia Cortez, la maestrina de La Higuera che parlò con Che Guevara nei suoi giorni di detenzione. Ed è con questo brano, “Gli occhi neri di Julia Cortez”, tramite un videoclip semplice e dai colori lievi e tenui, come in un acquerello, opera del bravo Enzo De Giorgi, che esce il primo singolo. Dal ritmo traballante e canzonante, basato sull’arpeggio iniziale della chitarra classica elettrificata, introduce al pubblico il discorso artistico di Capodacqua. Ma spetta a “Gli amanti segreti” iniziare il viaggio sonoro in questo mondo colorato, discreto e non eccessivo. Anche quando sembra chiamare in causa terminologie un po' vetuste e forse oggi, oramai, un po' ampollose. Ma è solo un’errata impressione. Riflettendoci su, è meglio così. Un rimedio salutare e difensivo contro tanta spazzatura pseudo-musicale che (nolenti e non volenti) siamo costretti a sentire nell’odierno. E quest’album é come un antiossidante. La calma de “Il mare di Milano” sembra correre su queste frequenze. Ed esse vogliono spegnere la realtà attuale, con tutti i suoi demoni, temporanei o permanenti, e farci guardare la bellezza nella cose semplici. Il suono puro del sax di Giuseppe Morgante ci ispira. E lo fa anche anche col successivo “L’uomo senza nome”, con i suoi piccoli interventi sostenuti dall’altrettanto bel contrabbasso di Emilio Morgante, entrambi insieme alla melodia che fa da scenario, chiaro e pulito, ai versi che cantano di un uomo speciale. Poi lo swing de “Il ladro” ed il furto con destrezza di un personaggio negativo, che, però, considerato il contesto ricco di idee, diventa affascinante. “Palermo” e “Per questo mi chiamo Giovanni” sono invece legati da qualche filo conduttore. Il primo, strumentale, si lega, per sonorità e brio, al contesto a cui apparteneva la figura eroica soggetto del successivo brano, dedicato a Giovanni Falcone. Brano a sua volta strutturalmente diverso dagli altri, un po' più moderno e da musica leggera, con l’intervento canoro di Pippo Pollina. Poi le semplici melodie di “I nidi degli uccelli”, dal titolo suggestivo, coi suoi versi in strofe e metrica di una poesia, e l’iniziale prosa del “Canto dell’aviatore”, coi suoi panorami sonori suggestivi, guidati dagli interventi fantasiosi del flauto dolce e del sax. Inoltre, l’interessante intervento in “Rosafiore” della cantante e musicista irlandese, naturalizzata in Italia, Kay McCarthy, con la sua voce/arpa/flauto whistle ad ulteriormente colorare la tela poetica di Capodacqua. E da ultimo, la bonus track “L’albero ed io”, brano di Francesco Guccini, in questo contesto riproposto dallo stesso Capodacqua con la propria enfasi e col contributo proprio dello storico chitarrista di Guccini, Flaco Biondini. Insomma, un album ricco di cose, situazioni, musicalità, interventi. Non è un album per ascoltatori fugaci e disinteressati. Non è un ascolto facile per chi ascolta distrattamente musica dalle radio mainstream. La calma poetica e musicale e la sapienza che in esso si percepisce è roba per molti, ma non per tutti. E non solo perché evoca e si ricollega a produzioni musicali d’altri tempi, relative a contesti storico-culturali con un diverso sentire comune. O semplicemente con diversi modi di sentire. Ma anche perché qui c’è la celebrazione del poeta, dell’intellettuale che si rende vigoroso. Un traguardo, una volta, da raggiungere con ardore. E la musica faceva, a tutto ciò, da cornice. E la musica esprimeva proprio questo ardore. (Vito Pagliarulo)