recensioni dischi
   torna all'elenco


PLEASE DIANA  "Polly Anna"
   (2020 )

La sindrome di Pollyanna, in psicologia cognitiva, è quella tendenza a dimenticare gli eventi spiacevoli, e ricordare solo quelli belli. I Please Diana, rock band umbra attiva dal 2011, torna con l’album “Polly Anna”, dove raccontano di Aria, protagonista del concept, che sviluppa tale sindrome. “Aria” è anche il nome delle tre tracce strumentali che introducono ed accompagnano le canzoni, anche se figurano col nome “Pt. 1”, “Pt. 4” e “Pt.1 reprise”. Dove sono la parte 2 e la 3? Potrebbero simboleggiare i traumi rimossi. Invero, le canzoni presenti hanno un sound aggressivo; il mix marca le frequenze della chitarra elettrica, e la capacità vocale della front woman ricorda a tratti, quella di Sandra Nasiç dei Guano Apes. La condotta generale però resta melodica. All’inizio “Radici” fa presagire le difficoltà: “Nell'aria odore di pesche, e già iniziavo a perdere i pezzi”. “Mi potresti amare” parte spedita, ma a metà il break rallenta i battiti. Il sentimento è affrontato passando dal desiderio carnale alla paura dell’emozione: “Ogni goccia di me vorrei donarti, ma di me vedi solo i piedi scalzi (…) la mia gola che trema, ho paura di essere felice”. La canzone che dà il nome alla sindrome, “Pollyanna”, entra ancor di più nei gangli della mente: “Tu vuoi stare bene (…) ma il demonio che mi logora dentro si prende tutti i miei monologhi e me li vomita addosso”. L’episodio più riuscito è “Solo una canzone”, liberazione dalla violenza sia nelle parole che nella musica: “Dammi un altro pugno sui denti (…) non credevo si potesse morire d’amore (…) acquietati dalla mente che non mente, ma sente finalmente, e adesso sente solo una canzone che fa…”. E a quel punto, l’agitata musica si trasforma in un placido 6/8, con fondo sereno d’organo. “Giugno” prosegue nella calma raggiunta, un pezzo acustico scritto guardando “milioni di tramonti”. Torna la carica elettrica con “Sono un uomo”, mentre i pensieri tornano inquieti: “Fossi padre, fossi figlio capiresti che le mie parole non trovano appiglio”. In chiusura a questo tormentato racconto in prima persona, se in “Pollyanna” la cantante diceva “Tu vuoi stare bene”, ora arriva “Io starò bene”, dove tale frase, da metà canzone viene ripetuta come un mantra, assieme al crescendo della canzone. Un finale emozionante, per un album dalle sonorità non ancora ben personalizzate, però portatrici di un’introspezione vivida e profonda. (Gilberto Ongaro)