recensioni dischi
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JOHNNY HATES JAZZ  "Turn back the clock"
   (1988 )

"Ho riso allo specchio, per la prima volta in un anno", cantava Robert Smith quando era triste triste. La seconda volta sarà stato, qualche anno dopo, quando in TV vide i Johnny Hates Jazz. "Cribbio, il mio bassista! Il mio fonico!". I prodigi della musica: Phil Thornalley e Mike Nocito, collaboratori della Cura su "Pornography", il disco tanto allegro che al confronto Nick Cave è Francesco Salvi, avevano totalmente girato l'angolo, e modificato il tutto. Pescato un vocalist (Clark Datcher) e un tastierista (Calvin Hayes, all'epoca fidanzato di Kim Wilde), trovarono uno di quei nomi strani strani che andavano di moda, e sfondarono quasi subito. Genere popettino jazzato (guarda che combinazione), con loro eleganti eleganti, carini carini, spandauspandau insomma. Certo, i percorsi della musica erano stati tali per cui, nell'estate 1987, "I don't want to be a hero" del trio che odiava il jazz e "Why can't I be you" di Robertino potevano tranquillamente essere messe una dietro l'altra in qualsiasi radio-play. Ma i confronti, ovviamente, finivano qui. Con anche "Shattered dreams" a far da detonatore ad un album che sembrava fatto apposta per le radio, comprendendo un lentino come la titletrack e altri singoli. Che poi, a dire il vero, tutto il disco poteva essere singolato, perchè si ascoltava con piacere. Ma, come avrebbe detto il Luca Carboni, "Le band si sciolgono". Roba da pazzi: soffri, ti sbatti, arrivi in testa alle classifiche, e sul più bello ti sciogli. A quanti è successo? Tanti. E anche a loro: Datcher decise di andarsene per i fatti suoi, sparendo nel nulla il giorno dopo. I reduci, dopo aver magari chiesto a Kim Wilde di dedicarsi non solo allo sparecchiare la tavola ma anche a cantare, misero in pianta stabile Thornalley alla voce. Un altro singolo, "Turn the tide", ma, appunto, nomen omen, il trend era cambiato. Ma perchè, ci chiediamo noi? (Enrico Faggiano)