recensioni dischi
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LAURIN HUBER  "Juncture"
   (2020 )

Laurin Huber è una delle figure più prolifiche e interessanti sulla scena sperimentale svizzera, già da diversi anni punto di riferimento nel panorama underground. Da pochissimo, Laurin Huber è tornato con “Juncture” (uscito per Hallow Ground Records), un album che include quattro brani dal minutaggio impegnato, mossi dall’idea di voler guardare il mondo oltre i pensieri dialettici di ieri e di oggi. Musicalmente, l’album gioca con una serie di stratificazioni, sovrapposizioni e giustapposizioni, a voler creare ambientazioni profonde in cui i suoni sembrano scivolare l’uno sull’altro, decostruendosi e abbracciandosi in un fluire che si fa indistinto col passare dei secondi. Per arrivare a questo risultato, Laurin Huber parte da stralci di techno mid-tempo, qualche inserto industrial, sintetizzatori che lacrimano e sognano, ma anche registrazioni di campo che complicano un discorso apparentemente semplice. È da queste basi che si snoda la titletrack, avvolgente e sempre più rarefatta nel suo incedere, in un profluvio di pastelli colorati, poi “Jatkis” si aggrappa a un sottotesto pulsante e simil-techno, mentre i suoni in superficie diventano essenziali e si aprono come macchie d’olio. “Hostage To History” è ancor più fedele alla techno industriale di cui sopra e i sintetizzatori effettivamente vanno a ricoprire un ruolo quasi secondario, ma è in chiusura che Huber sceglie di tornare a un’ambient pulitissima, senza increspature, densa e ancora avvolgente. Huber dimostra di essere un artista da tenere d’occhio: ancora un po’ distante dalla popolarità, ha confermato, anche con “Juncture” la sua ispirazione e la sua tecnica compositiva. (Piergiuseppe Lippolis)