recensioni dischi
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MUHAL RICHARD ABRAMS  "Celestial birds"
   (2020 )

A volte, il contesto storico e socioculturale non permettono ad un artista di esprimere certi lati della propria creatività, per poi diventare scoperte postume. È il caso di Muhal Richard Abrams (1930-2017). Fu noto per la sua innovazione nel free jazz, a Chicago. Ma il suo interesse non era solo nel jazz. Voleva esplorare anche l’avanguardia e la musica elettronica, e lo fece. Solo che, all’epoca, la musica elettronica era appannaggio esclusivo dei bianchi, sia per l’accesso all’insegnamento, sia per il pregiudizio da parte della comunità afroamericana, nei confronti di quel settore musicale. Così, i suoi esperimenti furono spesso relegati ai lati B delle produzioni. Reinhold Friedl, direttore di quell’anarchico progetto quale è zeitkrazer (sempre scritto con la zeta minuscola), ha fatto riemergere queste composizioni tenute in ombra, con la sua etichetta Perihel Series. Sono quattro tracce, contenute nella raccolta “Celestial birds”, appena uscita Per Karlrecords. Così scopriamo che, nell’iconico anno 1968, mentre iniziava la rivoluzione hippie e i King Crimson facevano nascere il progressive rock, Abrams realizzava “The bird song”. 22 minuti davvero insoliti: una breve introduzione di clarinetto lascia spazio a un parlato, una narrazione epica nel silenzio. Dopodiché, inizia a formarsi il caos imitatore della natura, della giungla: protagonista il violino, che si mette ad un certo punto a “cinguettare”, imitando gli uccelli che si sentono all’interno della tessitura caotica. Non so dire se questi uccellini siano campionati, tipo in una sessione di recording field, o se siano ricreati al sintetizzatore. Ma a completare la situazione verso i tre quarti della traccia, arrivano batteria, basso e sax a riportare la sperimentazione in ambito free jazz. Le altre tre testimonianze sono più brevi ma non meno affascinanti. “Conversations with the three of me”, del 1989, è per pianoforte e sintetizzatore: il piano è febbrile e dissonante, mentre il suono di synth è quel celebre pan-pipe davvero “anni 80” (utilizzato anche da Rick Wakeman in un suo leggendario assolo disumano). “Think all, focus one”, del 1995, presenta un suono acido di clavinet e suoni percussivi, rendendo una sorta di ambientazione horror di plastica. Infine “Spihumonesty”, del 1980, indugia su gravissime note prolungate di sousafono (strumento somigliante alla tuba), raggiunte da uno strumento simbolo del Novecento: il theremin. Nell’atmosfera misteriosa che il brano crea, c’è posto per flauto, organo, sassofono contralto, e ovviamente sintetizzatori. Una testimonianza interessante per gli amanti dell’elettronica e dell’avant-garde. (Gilberto Ongaro)