recensioni dischi
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CHOREA MINOR  "Black white moon"
   (2020 )

Al di là del particolare tipo di encefalite comunemente intesa come ballo di San Vito, causata dallo Streptococcus pyogenes, che compare in soggetti con patologie reumatiche e, di solito, durante l’infanzia, con Chorea Minor viene denominato anche il (certamente meno spiacevole) electro-project del teutonico autore-esecutore Mario Braun. Ed è così che il 20 febbraio 2020 Chorea Minor, per l’etichetta Echozone, pubblica “Black White Moon”, doppio album in digipack - edizione limitata. E’ composto da una doppia facciata, “Black” e “White”, la prima vocalizzata e la seconda prevalentemente strumentale, la prima prodotta da Krischan J. E. Wesenberg e la seconda da Patrick Damiani, ognuna composta da sei brani, ognuna che offre un concetto musicale osservato da una diversa prospettiva, che complessivamente l’autore si affretta a marcare come genere space pop. Nel “Black” album si analizzano i vari aspetti dell’anima, con tutte le sfumature, fino ad estendere il concetto d’analisi verso tematiche più importanti ed attuali, come i problemi derivanti dagli squilibri climatici. La struttura musicale viene somministrata sotto la denominazione elaborata di “elettropop-sferico-ritmico”. In realtà si tratta di un teutonico elettro-pop, talvolta un po' stucchevole ed assimilabile alle produzioni di inizio ‘80 del secolo scorso, con inevitabili richiami ai Kraftwerk (che hanno un senso poiché proposero musica per l’epoca che fu). Ovviamente è un chicca per gli appassionati di questi ambienti sonori. Ma per chi non coglie in pieno tali essenze, per la facciata “Black” di questa produzione discografica l’entusiasmo cola a picco. A partire dall’inizio appena neutrale di “Container World”, per continuare col tema principale a base di brass spianati e con i germanici baritonali vocalizzi di “Fireroller”. Continuando sul tema con “Sleepless”, con quell’inglese dalla pronuncia così pesante e marcata da sembrare altra lingua di germanica connotazione. Il discorso non è diverso (per musica, per cantato, per testi e pronuncia) con riguardo ai successivi “Living only twice”, “Tickle of life” e “Dancing on a wire”. Anch’essi tutti poco entusiasmanti. Il discorso invece muta quando ci si imbatte nell’altra facciata, “White” album. Quella più strumentale, quella meno “elettropop-sferica-ritmica”, quella, forse, più misurata e che, a detta dell’autore, enfatizza l'arte sferica del progetto, lasciando deliberatamente spazio alle proprie fantasie. Già l’inizio è più interessante, con quel “Starting”. Che, partendo da un’electro-sonorizzazione di qualche canto/rito tribale di pellirossa, crea un particolare ambient ritmico e melodico che, fortunatamente, ha poco a che vedere con la produzione “Black”. Similare discorso vale per il successivo “A new daylight”, che è strutturato ritmicamente su una partitura di archi, andante con brio. Sostenuto. Sembra essere la soundtrack di qualche videoclip con soggetto un branco di cavalli selvaggi che sfugge alle umane intenzioni. Con “Black white moon” c’è il flebile tentativo di ricascare nelle sonorità della prima facciata dell’album. Ma è solo parziale, limitandosi poi solo ai giochi strumentali ed estromettendo i vocalizzi marcati della precedente esperienza. “Another kind” è invece un’apprezzabile release, diversa dal contesto generale. Molto contenuta, molto riflessiva, che dà spazio all’immagine mentale prodotta dal suono. Ed alla stessa categoria appartiene anche “Health”, con il suo potenziale landscape sonoro dovuto, concretamente, al razionale, mirato e non esasperato trattamento dei sintetizzatori. Tralasciando il tentativo inutilmente house di “Question mark”, si potrebbe pensare che, con l’esclusione di quest’ultimo brano e dell’intero “Black” album, Chorea Minor avrebbe potuto rilasciare una interessante produzione discografica, anche solo con gli altri brani del “White” album. Insomma, qualcosa di più ambient e sicuramente meno space pop, ma dai contenuti certamente meno scontati e più ricercati di quelli derivanti dalla produzione di un (forse eccessivo) doppio album. (Vito Pagliarulo)