recensioni dischi
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LA GABBIA  "Madre nostra"
   (2020 )

"Violenza, sei madre nostra ma non ci hai mai riconosciuti" (da ”Violenza”).

“La gabbia” picchia duro e lo fa con perizia,ma non solo. Bolognesi al disco d’esordio, con un curriculum ricco di partecipazioni a manifestazioni prestigiose, La Gabbia è un gruppo facilmente etichettabile nelle fila del rock italiano, infatti riescono a coniugare bene il verbo rock con la lingua italiana, operazione non sempre scontata, anzi. Ma,come dicevamo, sanno andare oltre il picchiare pesante e riescono anche a cimentarsi in ballads con risultati più che soddisfacenti.

La voce profonda di Michele Menichetti, il punto di forza della band, si presta bene ai brani più energici ma sa diventare calda in quelli meno tirati e mantenere pulizia e intonazione nei tanti crescendo del disco. Le dinamiche di “Ilaria” mettono subito in risalto le capacita di Michele di sapersi muovere su più registri vocali. Poi arriva “Violenza”, la hit, il singolo. Gran tiro, bel testo che gioca sui chiaroscuri della mente umana e sulla natura della violenza. Bello anche il video con montaggio serrato e sangue sulle corde della chitarra. Partenza con i botti, dunque, ma poi si rallenta.

“La luna e i falò” è ispirata dal romanzo di Cesare Pavese, parte piano ma è solo un’illusione; gran crescendo nel finale. Il dramma incombe in “Memorie di una prostituta”, spunta un pianoforte per raccontare la storia di una certa Elena. “Ho bisogno” suona più attuale, più fresca delle altre: la mia preferita. Mentre in “Agrabah” arrivano influenze arabe, new wave e Litfiba periodo “17 re”.

Tanti cambi in “La fine e l’inizio dì una vita”, con finale quasi prog, con un passaggio chitarristico alla King Crimson. Suona già come un classico. “Non esisti” è il momento “accendino”, chitarra acustica arpeggiata e voce …e che voce. Bel finale.

“Madre Nostra” risulta un disco omogeneo, senza cali di tensione: dimostra grande versatilità all’interno di un genere abbastanza definito. Stoner, grunge, Soundgarden, Queens of Stone Age ma anche Afterhours: questi sono i riferimenti che saltano in testa durante l’ascolto. I brani più rock (“Violenza”, “Ilaria” e “Ho bisogno”) arrivano subito; mentre gli altri, i più introspettivi, crescono di gradimento con gli ascolti e la sensazione è quella di un lavoro curato e appassionato. Anche la volontà di creare una sorta di concept album sulla complessità e bidimensionalità della natura umana aggiunge fascino all’ascolto dei testi, sicuramente mai banali.

Non guasterebbe, a mio giudizio, un lavoro di ricerca verso qualcosa di più personale, ancora più fresco. Cercare di smarcarsi dai clichè di un certo rock del passato per forgiare un sound che sia un marchio di fabbrica esclusivo della band e la renda distinguibile da tutte le altre. La Gabbia deve avere il coraggio di mettere un altro piede fuori dalla gabbia per diventare davvero grande. I presupposti ci sono tutti. Attendiamo fiduciosi. (Lorenzo Montefreddo)