PET SHOP BOYS "Hotspot"
(2020 )
E’ chiaro che chi si avvicina e apre una recensione di un disco dei Pet Shop Boys nel 2020 sia un cliente particolare che sa benissimo cosa vuole e cosa vorrebbe aspettarsi dal prodotto. Come un avventore di un antico ristorante che non ha mai tradito e che non ci si aspetta si trasformi in qualcosa di diverso da quello che è sempre stato. In questo ambito, “Hotspot” non tradisce i fans di Tennant-Lowe, e di dubbi non ce ne erano, andando a creare una specie di crasi tra la malinconia di “Elysium” del 2012 e il successivo, immediato, ritmo di “Electric”. Come se i due soggetti cercassero sì di fare un punto della situazione e del decadentismo esistenziale con l’anagrafe che avanza, ma ripetendo, sempre e comunque, che di divertimento si deve parlare. E qui si trova l’incontro meglio di quanto, con il senno di poi, non avesse fatto il 2016 di “Super”. Senza la necessità né di fare sermoni né di fingere di essere ancora giovani discotecari, cercando appunto di raccontare l’esistenza – e qui i testi sono più politicizzati, specie su argomenti sociali, di quanto non sia stato fatto in precedenza – ma tenendo alta l’attenzione musicale. Non ci saranno particolari ganci commerciali, se non forse nell’esordiente “Will-o-the-wisp” e nella ritmica ’70 di “Monkey business”, o forse nel pacchiano finale di “Wedding in Berlin”, e in qualche caso, specie a centro disco, non si focalizza a dovere ciò dove si vorrebbe andare a parare. Lasciando, come sempre quando si parla dei PSB, il sospetto che qualche b-side avrebbe fatto miglior figura di chi invece è stato convocato. Ma “Dreamland” tiene sempre alta l’attenzione, e alla fine, le domande e le risposte sono poi le stesse. E’ un disco dei Pet Shop Boys? Sì. Può soddisfare gli amanti dei Pet Shop Boys, pur se nulla aggiunge (ma nulla toglie) ad una ultratrentennale carriera? Sì. Porterà a bordo nuove leve? No, e chissenefrega. Poi vedremo, tra un po’, se al centesimo ascolto l’album verrà apprezzato più di quanto non possa esserlo di primo acchito (come è successo appunto con “Elysium”), o se invece risulterà meno solido come il precedente “Super”. Ma quel che c’è basta e avanza, appunto, per far uscire dal ristorante sazi. Non satolli, non affamati, semplicemente sazi. (Enrico Faggiano)