recensioni dischi
   torna all'elenco


HUNGRY GHOSTS  "Hungry Ghosts"
   (2019 )

Paal-Nilssen Love e Christian Meaas Svendsen uniscono le forze in una battaglia di voci, idee e interferenze, incrociando il virtuoso sax di Yong Yandsen per dar vita a un’originale e coraggiosa unione di avanguardia giapponese e del più sperimentale ed estremo free-jazz europeo: fantasmi affamati, appunto, pronti a condurci di fronte alle porte degli inferi.

Yong Yandsen è una figura di spicco nella scena d’avanguardia malese, e in seguito è divenuto celebre anche in Europa, Christian Meaas Svendsen è il bassista norvegese che ha già fatto parte di Large Unit, Ayumi Tanaka Trio e Nakama, celebre per vivere il proprio essere musicista, e quindi il proprio strumento, fisicamente, e Paal-Nilssen Love è il celebre batterista, sempre norvegese, che per oltre vent’anni ha girato il mondo con progetti di successo come Atomic, The Thing e la sua creatura Large Unit. Insieme, i tre danno vita a un album ambizioso (appena uscito per Nakama Records), un’unica, lunga composizione, una traccia piena di mistero e di amore, trentanove minuti di viaggi interstellari.

La traccia inizia senza indugio alcuno, proponendo una rabbiosa costellazione di incroci, litigi e carezze tra sax, batteria e basso, un free-jazz istrionico e hip nel segno di John Zorn, Ornette Coleman e Pharoah Sanders, attualizzato in un contesto di maggior respiro, dove all’improvvisazione live si affianca una produzione e un mixing particolarmente caldi, attuali e diretti. Le eruzioni vulcaniche che compaiono di continuo nel pezzo si alternano a caute pause misteriose e sinistre, momenti che mai sono di vuoto e che nel loro incedere icastico e tragico sembrano quasi dar pace all’ascoltatore per qualche minuto, se non che la loro stessa presenza porta maggiore tensione in chi ascolta e aumenta la già di per sé difficile decriptazione dell’opera. Il sax di Yandsen lavora magistralmente dall’inizio alla fine, il basso è davvero qualcosa di fisico, che ha vita propria, com’è nelle intenzioni di Svendsen, che si incunea nelle pieghe del suolo per volere creare un suono cavernoso e demoniaco, e Paal-Nilseen Love sa tirar fuori dalla sua batteria ritmi e vibrazioni personali, originalissimi e caldi.

Il ritorno alla caccia alle streghe, dopo gli inquietanti momenti di quiete dopo (e anche prima) delle tempeste, è sempre traumatico e forte. Il sassofono è un lamento che sembra provenire da qualche vittima sacrificale, il suo dialogo con la batteria è ossessivo e dispotico, non risolto dal basso che sembra violentare ancora di più le frustrazioni e le curve dello stesso sax. Il risultato è molto convincente e ''Hungry Ghosts'' è un album che merita di essere ascoltato più volte nonostante sia un lavoro complesso. (Samuele Conficoni)