ANTONIO PIGNATIELLO "Se ci credi"
(2019 )
L’espressione musicale di Antonio Pignatiello, artista originario di terra d’Irpinia, è un frappè artistico di frutti musicali quali il cantato letterario di Fabrizio De Andrè, le vocalità sforzate di Tom Waits, le sonorità di lontananza ma intimiste dei Calexico, il folk chitarristico di Neil Young, il cantautorismo italiano degli anni ‘70 del secolo scorso. L’album in questione nasce col contributo di Taketo Gohara, già noto produttore, tecnico del suono ed arrangiatore di origini giapponesi. Si tratta di un paesaggio sonoro che include storie di provincia di autentico vissuto, di “strade affamate di sogni e di gioventù”, anche di precarietà e di caducità dei valori morali. “Si sta facendo tardi” e “Sembra quasi domenica” hanno risonanze musicali alla Calexico/Fabrizio De Andrè di “Anime salve”. Il secondo brano in particolare, adagiato su una ritmica tipo locomotiva in arrivo, è l’immagine senza tempo dove tutto accade, in un posto “pieno di sogni usati e di giorni sbagliati”, da qualche “parte del mare” a chiedere a qualcuno “lassù” come si sta. “Se ci credi” ha in sé qualcosa di melanconico, laconico (addirittura ermetico) ma simbolico. Premonitore di una partenza, forse per salvarsi dalla desolazione e raggiungere un obiettivo di vita. Anche se si lascia intravedere una esemplare e lieve amarezza insita nell’abbandono, tipica di chi lascia le proprie terre d’origine culturale e va incontro ad altro. “Luna di mezzanotte” ha come caratteristica la diversa idea di supporto ritmico (che, strano a dirsi, ricorda “Airbag” dei Radiohead) ed è costruita intorno ad un’idea musicale tipica da musica leggera italiana. E sullo stesso stile radiofonico, per non dire sanremese, c’è “Non è ancora finita”; altro pezzo musicalmente diverso dal contesto (come “Luna di Mezzanotte”) e forse per questo meno entusiasmante. “Salutami l’America” dal “prima o poi” facile, sciorina visioni esplicate, metaforiche e non, e sogni rivolti ad una certa Terra promessa. Mentre “Due parole” ha l’arpeggio e, ancora una volta, il lirismo alla Fabrizio De Andrè, con un particolare sostegno ritmico di un contrabbasso che scandisce i passi di una melodia, senza fare troppo rumore, insieme ad una fisarmonica evocativa di storie da focolare. Il bell’arpeggio in acustico di “Ancora un pò” denota la fantasiosa associazione di armonici di una seconda chitarra elettrica ed un ritornello cantautoriale per cui, in fondo e nonostante tutto, si resta qui mentre “tu resti lì”. E poi c’è “Stanza dei ricordi”, che è tra i pezzi più riusciti dell’album. Non solo per un particolare intro con armonica sotto effetti sonori, ma soprattutto per richiamare in maniera così autentica circostanze, oggetti, sensazioni, visioni, persone appartenenti ad un piccolo contesto, in un passato non molto remoto. E poi la grande trovata del breve cambio di ritmo finale... a figurare una sorta di centrifuga dei ricordi che macina tutto il passato e lo ripropone in piccole porzioni. Per finire con “Bianco già”, in epilogo, con la neve interpretata come una circostanza, una combinazione, una porta temporale di riflessione. Per ritenere che poi “non è tempo ancora” anche se da qualche parte (sui “suoi” capelli/ciglia/labbra) nevica già. L’album di Antonio Pignatiello è complessivamente intimista, semplice, raccoglie sonorità lineari e le mette insieme con lirismi dai linguaggi certamente non nuovi ma espressivi di sentimenti genuini, anch’essi semplici. Gran parte è affidato alle ambientazioni sonore a base di delay, reverberi, slide guitars in lontananza, tappeti sonori di varie consistenze. Gli arrangiamenti tenui, gentili, non dispongono di parti solistiche particolari, forse per non stemperare i toni della suddetta poetica, rischiando poi di riportarci alla realtà. Ed è effettivamente una scelta apprezzabile, quella di non volerci distrarre con la realtà.
(Vito Pagliarulo)