recensioni dischi
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VALENTINA MARRA  "Ophelia"
   (2019 )

''Ophelia'' è l’album di esordio della violinista salentina Valentina Marra. Artista che ha già all’attivo collaborazioni importanti soprattutto nel panorama musicale italiano. L’estro la porta ad ideare un concept strumentale, realizzandolo per il tramite di un crowdfunding su Musicraiser. Ed ecco che, lontano delle precedenti collaborazioni, in questo progetto la Marra si ritaglia uno spazio elegante ed artisticamente pregevole. Autentico, puro e lontano dai cigolii del mainstream. Peccato solo per la durata timidamente ridotta del progetto, laddove sarebbe stato necessario estendere le sonorità ben oltre quei circa venti minuti di produzione. La musicista sembra appostarsi per non sentire rumori di brutture musicali; e in tal contesto evoca un luogo informe dove classica ed elettronica si abbracciano, se la spassano e danno vita a loro volta ad una formidabile creazione dai toni puri, cristallini. E’ un album visionario ove vive il sogno, il ricordo, la visione. Dall’ermetico inizio con le fosche tonalità notturne di ''Mankind'', che sembra il rumore di un ricordo dal buio di un sonno profondo, alla purezza di ''OZ'', con le sue partiture per violino che richiamano melodie di antiche e/o fiabesche ambientazioni. Il nucleo dell’intero lavoro sono brani come ''In a box'' e la title track ''Ophelia''. La prima è un letto melodico che sostiene un violino in lontananza, a cui fa da contraltare una purezza da xilofono; e tutti aprono letteralmente lo spazio chiuso di una scatola, estendendolo a dismisura, per poi perdersi in reverberi infiniti. ''Ophelia'' invece è una danza leggera… un walzer dalle battute sottili. Un vento che appena soffia per un profluvio di visioni, in un tardo pomeriggio invernale, in un querceto, con gli alberi che depongono le loro ultime foglie sul manto umido… con la mente a volere intenzionalmente ignorare che ci possa poi essere un’alba nuova. Questa è la vera bellezza; la potenzialità di queste composizioni nell’ispirare il sogno. Con ''Dead Calm'' sembra poi ottenersi la sonorizzazione di uno sguardo riflessivo e cadente, che smarrisce la via e si scontra con chissà quale orizzonte lontano. Tanto lontano da evocarsi finanche, in ''Universe'', un universo di sonorità in movimento lento, sinusoidali, assestate in banchi di vibrazioni, dense… che scivolano lente e ti passano attraverso. Poi tutto trae termine dallo scrociare delle onde di ''Nemo'', in cui il violino e la tromba, orientati, ci accompagnano con calma alla via di uscita di questo viaggio sonoro. Un viaggio, come detto, che, data la qualità dei contenuti, non sarebbe stato certamente opprimente se si fosse addentrato in esplorazioni sonore di più lunga durata. Ciò sempre a beneficio del sogno. Tuttavia ciò non impedisce di sperare, nel sogno, che il prossimo viaggio sia ancora più intenso. (Vito Pagliarulo)