MEEMO COMMA "Sleepmoss"
(2019 )
Meemo Comma, alias Lara Rix-Martin, per la sua seconda fatica “Sleepmoss” (appena uscita per Planet Mu Records), ci trasporta da Brighton in giro per una Gran Bretagna metafisica, portando suoni e rumori autunnali e invernali. I field recordings sono ariosi, fluidi, per lo più ambienti fortemente surreali, come nel caso dei versi di animali in “Night rain”, ma dal brano di apertura “Reaping” si capisce che difficilmente ci troveremo in giro dei drones, delle note lunghe e statiche spesso usate come fondo. Qui invece tutto è cangiante e caleidoscopico, anche i suoni bassi e graffianti. “Murmur” ci immerge in un parco con numerosi uccellini cinguettanti, e un suono di flauto che trilla lentamente, simulando un altro volatile, mentre sullo sfondo i rumori di macchine lontane sembrano attutire un colpo di alluminio che sembra essere percosso su un tamburo scordato. I suoni si fanno vibranti e brillanti in “Tanglewood”, sembrano entità fisiche da vedere e toccare, mentre sentiamo frasche muoversi, come camminando fra le foglie ingiallite. Note più precise ma sempre dilatate si trovano in “Winter sun”, con un pad che fa da fondo a suoni cristallini. Al contrario, in “Amethyst deceiver” il suono sembra randomico, come il riflesso di luce sui minerali, ma un suono distorto di basso rende il tutto avvincente e misterioso. Per “Windross”, un vento informe viene catturato e reso minaccioso, come una tempesta di sabbia. La sintesi granulare taglia pesantemente il suono, fino a renderlo frastagliato, mentre intona una sequenza di note che intessono una melodia diminuita. “Lichen” si apre con un ritmo determinato dal suono arpeggiato, decorato da gioielli sonori intorno. Ma dopo un minuto e mezzo circa, l’equilibrio si rompe, dando spazio ad una distorsione che rende problematica la narrativa musicale. Il suono, dopo essere presentato come un elemento di disturbo, diventa totale protagonista, quasi fino alla saturazione. “Meadhead” inizia con dei sotterranei rombi, sovrastati dal rullo di un timpano da orchestra. Più in là, intervengono rumori decisamente corrotti, come quei suoni dei file in bassissima qualità mp3, ma è un breve istante: alla fine un gong e poche note d’arpa ci riportano alla solennità. I suoni ventosi si armonizzano in “Firn”, con esiti onirici. La titletrack “Sleepmoss” si distanzia da quanto finora sentito, reiterando note d’archi che sembrano un pattern incantato. Torna ridondante, sotto gli archi, un crescendo noise, ma l’ipnosi alla fine è compiuta, ed è come assistere a visioni di Lynch. “Psythur” sembra inizialmente introdurre un elemento vocale, seppur modificato artificialmente e reso altro da sé. Il tutto si chiude con onde oceaniche. Le suggestioni sono come sempre soggettive, e ognuno può trovarci qualcosa di diverso in questi ambienti. (Gilberto Ongaro)