recensioni dischi
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SOLITUDE IN APATHY  "Solitude In Apathy"
   (2019 )

Napoli è, da sempre, simbolo di bellezza, fantasia ed ingegno simpaticamente malizioso, e la band dei Solitude in Apathy conferma certi connotati partenopei, soprattutto nella fantasia ideativa. Arrivano ad esordire con l’e.p. omonimo contenente 4 tracce, volteggiando tra forniture alt-rock, strisciate di shoegaze e fraseggi dark-dreamy. Avviano il progetto con la severità di “Dreaming in silence”, ausiliato da un basso imperioso e da chitarre urticanti che, specialmente all’inizio, ricordano l’incalzare dei Dead Kennedys di “California uber alles” ma, nel prosieguo, il combo lo differenzia con inserti estranianti. Invece, “Nothing lasts forever” sposta l’asse compositivo anche su aspetti più dreamy, ma sempre con tocchi aciduli di post-rock che sferrano una ricca angoscia ipnotica, in una traccia per lo più strumentale e demandata alla fantasia estrattiva dell’ascoltatore. Alla penultima tappa, arriva il singolo “The other” dalle atmosfere rarefatte ed effigiato da un video surrealmente sospensivo, contenente un gran bell’insegnamento: quanto cambierebbe l’accettazione degli altri se fossimo bendati, in modo che non ci siano pregiudizi al solo vederli? Le immagini danno un’eloquente risposta: tutto! E ci fan capire quanto limitato sia il nostro parco-giudizi verso il prossimo che si ferma, spesso, al primo impatto visivo. C’è ancora un “Ocean “ tutto da scoprire in dirittura d’arrivo, in cui la voce sepolta della singer Santina Vasatura ci attrae nel buco nero dell’anima per avvilupparci in claustrofobiche emozioni, come fossimo rapiti nel clima di una stanza cromoterapica, dispersi nel fumo aromatico tra eterea magia ed incorporea catalessi. Quello proposto dal trio napoletano è un pokerino esecutivo che non bluffa e che cala buone carte a viso aperto convincendo (da sùbito) che saranno più che una semplice promessa dell’Underground. (Max Casali)