recensioni dischi
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SKY BURIAL  "The forging season - Further acts of severance"
   (2019 )

Dal nome, il progetto Sky Burial, letteralmente “sepoltura del cielo” (in realtà trattasi di un rito tibetano), si potrebbe pensare ad un gruppo black metal con testi oscuri. In effetti un omonimo gruppo esiste, ma non è questo il caso, anche se l’inquietudine è diffusa in tutto il lavoro “The Forging Season – Further Acts of Severance”, appena uscito per Opa Loka Records. Non c’è traccia di metal, bensì si affonda in un’elettronica dall’estetica industrial, che crea ambientazioni poco confortevoli. Si tratta del sedicesimo lavoro a nome Sky Burial, dietro al quale si cela il prolifico Michael Page. L’album è diviso in dieci tracce, intitolate con i numeri romani. In queste lande desolate, sentiamo principalmente della noise drone music, con fondi eterni e vorticosi, come in “I”. In “II” però iniziano a farsi sentire delle voci, gravissime e gutturali alcune, e acute altre, deformate e immerse nel flusso. Poi risate di bambini non ci faranno dormire la notte. “III” parte subito con distorsioni che glissano verso l’alto, come preludio all’accensione di un sinistro macchinario, che non si sa bene cosa produca, mentre sullo sfondo battono delle percussioni da colonna sonora drammatica, e cigolano dei rubinetti. Con l’ingresso di “IV”, l’elettronica si fa manifesta nei suoni messi in rapidissimi loop, mentre note metalliche, come di pianoforte elaborato, suonano come passi incespicanti su una strada dissestata. “V” è la prima traccia sostenuta da una base chiaramente ritmica, mentre proseguono dei tappeti dissonanti con degli stormi di uccelli che strillano. “IV” è spaventosa, ci fa incontrare creature non intellegibili. La paura è ben esplorata in questo lavoro, ancor di più in “VII”, che con i suoi ridondanti colpi raccapriccianti, ricorda tanto la musica del videogioco Alice Madness Returns, e la sua atmosfera steampunk. Con “VIII” dei suoni cristallini fanno un muro impenetrabile di rumori sottili ma taglienti, che continua in “IX” mentre tornano le voci, che rimbalzano in modo innaturale. Infine “X”, per 27 minuti, ci lascia nella somma dilatata di tutti questi stimoli, e alla fine ne usciamo provati. E’ un’esperienza che può essere agghiacciante per alcuni, ma intrigante per altri. Di sicuro non lascia indifferente nessuno! (Gilberto Ongaro)