recensioni dischi
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INUTILI  "New sex society"
   (2019 )

Gli abruzzesi Inutili pubblicano un nuovo trip psichedelico, “New Sex Society”, per il quale si aggiunge alla formazione un sassofonista, che compare nelle prime due tracce, rispettivamente di 13 e di 18 minuti. I brani sono delle “zone”, dove accadono diversi eventi. In “Rooms”, la musica parte con accordi di chitarra suonati crunchy, poi però al centro si perdono i riferimenti di tempo, e il sassofono naviga in un mare di riverberi di chitarre, mentre la batteria indugia sul ride. Una ripartenza rock con un giro da Jeff Buckley, anticipa la voce, che canta graffiando e ridendo. Qui e altrove, spesso ci si ferma ad una sola situazione armonica (un solo accordo), sul quale improvvisare virando anche nel noise. In “Seeds (Japanese)” il suono si fa acido, tra il wah wah della chitarra e la batteria veloce ed incessante. Il sax sembra incantarsi ad un certo punto, nella reiterazione di pattern ipnotici, ed il basso sale e scende le scale senza trovare l’uscita. Una lunga ed alienante psichedelia. Con il singolo “Space time bubble” la sonorità e le scelte armoniche si fanno barrettiane, ma a metà l'episodio si trasforma in un blues deforme e lisergico, per poi tornare all’attacco. Per il successivo titolo gli Inutili devono essersi ispirati ai Gemboy: “Star whores”. Anche qui la situazione è tripartita: rock spedito all’inizio, fase centrale calma, con tremolo alla chitarra, ritorno nel baccano. Ma la zona centrale stavolta è più breve rispetto alle altre, prevale l’agitazione. “Tiny body” è una breve corsa che sfiora il punk, mentre la voce ripete ossessivamente “Body body body body”. La voce in “Singing dogs” si fa roca come quella di The Trashmen, sopra una band dal suono violento. Ed infine un riff su di giri avvia la conclusiva “Too late”, che resta energico fino agli 8 minuti, mentre per i restanti 10 si staglia un tempo andante, funzionale a far partire l’ultimo trip. Gli Inutili si trovano su coordinate fra il rock psichedelico inglese e il garage americano, per chi ancora vuole ipnotizzarsi. (Gilberto Ongaro)