KAROSHI "Cosmic latte"
(2019 )
La cosa che più mi affascina nei Karoshi è come siano meravigliosamente riusciti a ribaltare tutto quanto nello spazio di un mattino. Un mattino lungo, durato tre anni.
In “Cosmic Latte”, prodotto da Filippo Mocellin e pubblicato per la sempre interessante Seahorse Recordings di Paolo Messere, la formazione vicentina si allarga da tre a quattro elementi, il nebuloso vagheggiare degli esordi si riveste di connotati riconoscibili, ogni ipotesi finisce convogliata in mille altre direzioni.
Non so quanti avessero colto ed apprezzato lo sperimentalismo ostentato e l’ostinata frenesia avant contenute nelle tre tracce di “Maizena ep”, debutto del 2014, o nelle quattro di “Antera”, datato 2016, materiale free-form di quasi impossibile classificazione. Non so: ma li avrei sfidati tutti a formulare previsioni su un possibile seguito di quella ribollente creatività astratta.
Confiteor: oggi quelle dei Karoshi sembrano canzoni e non me lo sarei aspettato. Assumono sembianze note, ricompattano i margini, delineano confini. Tratteggiano - forse - una specie di post-pop sbilenco e visionario sigillato in uno scrigno privo di chiave. Un altro rebus, che inganna instradando verso solo illusoria soluzione. Girato l’angolo, c’è un muro.
Appunto. “Golden hour” apre su intro percussiva, synth, frase di chitarra, canto obliquo: sei tutto l’indie di cui ho bisogno. Ed è proprio tutto qui, perché ogni vestigia di indie-o-sedicente-tale scompare da lì in avanti. Il ritmo è un cane alla catena, sguinzagliato dopo un minuto e mezzo a disegnare una canzone perfetta. Ma la catena è corta, il cane è ancora legato, il ritmo si blocca quaranta secondi più tardi, precipitando la canzone nel cul-de-sac di una coda slegata.
Eppure. In “I’m awake” – primo singolo estratto – sembrano i Jayhawks che, navigando in tropicalismi stralunati à la Koop, riecheggiano perfino gli Smiths. Gli scatti nervosi di “Alone together” scuotono un ingorgo frenetico trafitto da inserti di tromba e cullato da un cambio di ritmo che scivola su una malinconica aria mariachi. Diventa una specie di bossanova jazzata, ma era partita come una canzone qualsiasi.
E ancora. “Overstructure” non sfigurerebbe nei primi dEUS; “Nymphs” gioca con l’elettronica aggiungendo echi canterburiani; “Dismantling” è una specie di funky balordo à la Incubus; “L M V I D” è una trappola di due minuti e mezzo che piacerebbe a mr. Yorke; “Taiga-pt. I” e “Taiga-pt. II” sono una mini-suite progressive, così incredibilmente avulsa dal resto; “Cinemascope” chiude su una sorta di lullaby stralunata incorniciata – di nuovo - da una tromba distante e da un registro vocale wyattiano.
Ecco. Persa la non-forma, questo rimane di “Antera”: l’impossibilità di stabilire a priori – soltanto di azzardare – cosa accadrà nei prossimi trenta secondi. Di questo e d’altri trucchi ed alchimie si pasce “Cosmic Latte”, piccolo capolavoro di raffinata testardaggine e di smisurata fiducia in un’idea.
Arte pura senza condizionamenti, lasciata libera di trovare risposte alle domande che essa sola si pone.
Imprevedibile, mai lineare, il futuro fuori dalla finestra. Una finestra sul prossimo panorama. Un panorama che potrebbe mutare nello spazio di un mattino. Un mattino non più così lungo, si spera. (Manuel Maverna)