THE TOUCHABLES "The noise is rest"
(2019 )
Per questo album in forma di duo, i Touchables – Guro Skumsnes Moe all’octobass e Ole-Henrik Moe al violino piccoletto – esplorano registri di suono ostici e affascinanti. Sono ispirati da eroi dell’avanguardia come Iannis Xenakis, col quale Ole-Henrick ha collaborato, ma non disdegnano l’elettronica e il rock, generi intorno ai quali sempre Ole-Henrik ha gravitato per anni (Motorpsycho, Todd Terje, Andre Bratten). Alcuni suoi lavori sono stati eseguiti dall’Arditti Quartet.
Dalla sua Guro Skumsnes Moe ha un curriculum altrettanto notevole. Si è dedicato a progetti sempre al limite tra musica classica contemporanea, rock, noise e improvvisazione (MoE, Sult). I due fanno tesoro delle esperienze passate, riescono a mescolarle sapientemente tra loro e danno vita insieme a un lavoro stimolante, vivo e infuocato, che funziona e convince.
Frequenze ai limiti dell’impercettibile, improvvisi sconquassi sonori, evoluzioni trascendentali: le sonorità coraggiose e difficili dei Touchables in The Noise Is Rest, appena uscito per la Conradsound Records, lanciano una sfida all’ascoltatore, che deve impegnarsi, attivare cervello e altri sensi, per entrare al meglio nel disco. La cageiana “Nothing in Between” è un perfetto esempio di minimalismo di oggi, incastonata in piccoli colpi di suono, come lo sono anche i numeri, persino più sussurrati e complessi, “Barking Beetle Boogie” e “Blackout Lighthouse”. “Peace Ghost”, invece, è maggiormente rumorosa e industrial: in essa le influenze extra-classica dei due emergono chiaramente.
Non è tutto, però. I due rischiano in ogni composizione, non lasciano nulla al caso e amano il brivido. “Unicorn Stocking” è un esperimento per archi di una complessità atroce che ricorda certi lavori di John Zorn – per sassofono – a metà degli Anni Ottanta. Piuttosto diversa è invece “Birdabyalullaland”, che sembra quasi una ninnananna al contrario, molto atipica e strana, resa graffiante e fastidiosa quando sembra che stia per quietarsi; la sua gemella “Byalullalandbird” pare ricominciare là dove l’altra si era fermata. “Deserted Desert”, che chiude il disco, è una composizione che riconduce il percorso verso il minimalismo, un minimalismo, però, fortemente inquieto e straniante, che cerca il disequilibrio e il rumore, l’industrial e l’imprevedibile, e dimostra quanto sia ampia la competenza dei Touchables.
(Samuele Conficoni)