recensioni dischi
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MECHINATO  "Qui non ci son santi"
   (2019 )

I Mechinato propongono un riconoscibile folk rock, con batteria, basso, chitarra elettrica pulita, e violino, con qualche synth, per sostenere testi vagamente polemici, con un po’ di ricerca poetica. L’album “Qui non ci son santi” raccoglie nove canzoni un po’ ammiccanti e un po’ ispide. “Un momento per te” elenca tutte le faccende quotidiane che non lasciano spazio a momenti per sé, tra lavatrici e Fluibron. “Il lato oscuro” si rivolge direttamente all’ascoltatore: “Dico a te coglione, che raccogli la merda del cane, nei giardini clochard italiani, senza nome, senza pane”. Si rivolge a chi dà lavoro “a tre euro l’ora” e anche a chi si comporta da alternativo per atteggiamento: “Ciao bella ciao, ti porto al caffè a parlar di capitalismo solo io e te”. Se la prende anche con chi segue diete diverse: “Amico salutista che sicuro non mangi carne, corsetta alle sei del mattino, ma non vai alle urne”. Nessuno, anche il più bravo cittadino, è immune dal ritornello: “Se alzi la tenda fratello, se scosti la tenda fratello, attento al lato oscuro nel tuo cervello”. Una melodia fischiettata viene circondata dalle parole più serene di “Buongiorno”: “Buongiorno, buongiorno in questo cielo nel latte inzuppato”. “La vita” va sull’ironico, elencando situazioni di disagio e poi risolvendole con una frase pseudo filosofica: “E se un giorno poserai lo sguardo tra i rigagnoli malsani di questa città, il tuo sguardo troverà gli occhi randagi con lo scheletro di cani inquilini felici come trafitti Sebastiani (…) siamo in ripresa, e trovare uno stipendio qui è già un’impresa (…) la cosa più bella della vita è la vita”! Lo sguardo si allarga ai divari sociali continentali per “Tra un drink e una moschea”: “L'Europa è un buco nero, c'è una distanza abissale tra i palazzi e la statale, tra l'aroma e lo sfacelo, come tra un drink e una moschea, tra una chiesa e una preghiera”. Ritmo da ballo lento per “Stella”, tra ricordi e inviti alla danza: “Ricordi quella volta che il vento in barca ti gelava il naso, come quella volta che la montagna ci copriva del suo respiro?”, mentre “Lo scalpellino” è la dedica al nonno, che contrasse la silicosi, nel suo lavoro polveroso. L’episodio personale è spunto per una riflessione: “Siamo come mosche, un nulla, un niente, il ridere diventa tosse. Questo è il destino degli uomini comuni, presi nel palmo della vita. Senza scampo, senza gloria, affrontiamo la salita. Indicateci per favore tutte le vie d’uscita”. Durante questi pensieri, la musica non si fa lagna, resta sostenuta. “Guarda il sole” fa spiccare il violino che affianca la voce, ed infine “Il valzer del bicchiere” non è un vero e proprio valzer, ma una ballata, all’inizio simil blues, poi pienamente folk, ad ambientazione alcolica e con piglio critico, tra religione, banche e precarietà. I Mechinato si rivolgono a chi segue il filone del folk rock, e soprattutto a chi non vuole chiudere gli occhi. (Gilberto Ongaro)