recensioni dischi
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LA SORTE  "Itaca"
   (2019 )

Irriverente e dispettoso quanto basta ad incuriosire ed attrarre un certo tipo di uditorio ben disposto ad accettare la devianza tout court come chiave di lettura, “Itaca” segna il debutto del trio La Sorte, originario del veronese e qui all’esordio con nove tracce fragorose e disturbate.

Alla maniera degli Afterhours periodo “Germi” o dei sempre deliziosi Les Fleurs Des Maladives, Giorgio Pighi, Matteo Piomboni e Zeno Camponogara imbastiscono con disarmante nonchalance un bestiario distorto e allucinato, popolato di nevrosi assortite e figure deformate, piccole dipendenze e quotidiane disperazioni. E’ una stringata riproduzione in vitro di un’umanità blandamente sconvolta alla ricerca della via per tornare a casa, un microcosmo rovesciato di ordinaria confusione e comprensibile smarrimento.

Pur gigioneggiando compiaciuto su un andazzo generale che sa di lo famo strano, “Itaca” ha comunque coraggio da vendere e ben volentieri gli si condona una certa latente dipendenza da modelli già affermati: magari non inventerà nulla, ma ha talento, personalità e ben più di un atout da giocarsi.

Dai guizzi di “L’acchiappafantasmi” e “Angurie e pipistrelli nel tuo giardino d’estate” (che ricordano il passo sovraesposto del Management Del Dolore Post-Operatorio o dei Fratelli Calafuria) alla sbilenca conclusione di “Benzodiazepine la mattina”, degna del Manuel Agnelli che fu, fino alla rasoiata inquieta di “Tel Aviv” - quattro minuti e mezzo che sanno di primi Marlene Kuntz e di Incubus, rara perfezione in precario equilibrio visionario su un abisso di benzodiazepine/mescolate al the al limone -, l’album ha forse il solo torto di non osare ancora di più.

Band interessante, alla quale auguro – un domani – di spingere, con cotanta brillante baldanza e non senza la già comprovata sfacciataggine, nella direzione individuata: potremmo trovarci al cospetto di un trio di temerari sonici capaci di slanci ben più efficaci dello slogheggiare vacuo di svariati pedissequi imitatori di ventura. (Manuel Maverna)