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ZEITKRATZER  "Zeitkratzer performs songs from the albums ''Kraftwerk'' and ''Kraftwerk 2''"
   (2019 )

Ormai l’abbiamo capito. Se nella storia della musica c’è qualcosa di inascoltabile, convesso e che si nasconde dalla facile fruibilità, agli Zeitkratzer piace e ci mettono le mani. Non contenti d’aver reinterpretato l’album-dispetto “Metal Machine Music” di Lou Reed, che era un’ora e mezza di rumori distorti senza capo né coda, adesso gli 11 anarchici capitanati da Reinhold Friedl sono andati a ripescare 4 brani dai primi due album dei Kraftwerk. Che non sono quelli che mondialmente ricordiamo, con “The Robots” e “Radioactivity” e l’aria di automi. Nel 1970, i Kraftwerk erano due studenti capelloni di Düsseldorf, e non avevano ancora definito lo stile che avrebbe fatto la storia, sia musicale che visivo. Ma già mostravano i risultati degli studi, nelle loro sperimentazioni. “Harmonika”, primo estratto dall’album “Kraftwerk 2”, era un secco reportage di note dilatate di harmonium, esposte come risultati scientifici. Gli Zeitkratzer ripropongono la stessa sequenza, con Friedl all’harmonium, ma i fiati eseguono delle note come fossero armonici provenienti dallo stesso strumento. La differenza si apprezza particolarmente sovrapponendo la traccia originale a questa versione (provare per credere). “Stratovarius”, proveniente da “Kraftwerk”, diventa un’angosciosa colonna sonora per via degli archi. Al terzo minuto, Hütter e Schneider avevano compiuto un decrescendo fino a raggiungere il silenzio, per separare l’inizio statico e febbrile dal centro rumorosissimo. Invece gli Zeitkratzer hanno deciso di non decrescere, e si gettano direttamente nel caos, strofinando le corde fino a far male le orecchie, e malmenando il pianoforte. La batteria a quel punto interviene rendendo rock il vortice orchestrale, che da noise si stabilizza in un bordone. Manovre con ritmo da cacciavite tormentano il violino, che emette suoni da carrucola poco oliata, mentre il trombone riprende il riff della chitarra dell’originale, così come impersona Il finale krautrock, assieme agli archi graffiati. Con “Von Himmel Hoch”, sempre proveniente da “Kraftwerk”, l’orchestra si rivela in tutti i suoi colori più naturali, seppur stirati da glissati che irrompono anche nella zona psichedelica del brano. Infine in “Wellenlänge”, dell’album “Kraftwerk 2”, la parte principale, che era del basso, qui viene affidata alla chitarra. Verso la fine, il contrabbasso coi suoi colpi fa risaltare il silenzio attorno a sé, distraendo dalla chitarra ipnotica. Lenti appoggi di pianoforte tentano di riempire il silenzio, ma si mantiene lo stesso senso di vuoto dell’originale. L’alienazione è garantita, grazie all’orchestra più inafferrabile della Germania. (Gilberto Ongaro)