recensioni dischi
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GIANT THE VINE  "Music for empty places"
   (2019 )

Esordio per i Giant The Vine con otto brani strumentali densi di pathos tra il progressive dei primi anni ‘70 e l’alternative rock degli anni ‘90. Musica per spazi aperti, per luoghi vuoti, musica che non necessità parole ma crea emozione. La musica per i Giant The Vine è un qualcosa che nasce da un'emozione e genera emozione, trasformandosi da contenuto per un luogo a contenitore per uno stato d’animo. Questo potrebbe essere il senso di questo primo tassello artistico della band progressive nata nel 2014 e che, dopo cambi di line-up, giunge al tanto atteso disco. Due chitarristi (Fabio Vrenna e Fulvio Solari), un batterista (Daniele Riotti), un bassista (Marco Fabricci) e due tastieristi/pianisti (Chico Schoen e Ilaria Vrenna) sono gli artefici di “Music For Empty Places” in cui controtempi si intrecciano ad arpeggi, tra progressive nevrotico fatto di tempi dispari e momenti di maggiore estasi e riflessione. L’apertura è affidata a “67 Ruins” che, con la sua intro tra chitarre, moog e piano, genera inquietudine per poi liberare la sua dirompente energia. Richiami agli Yes, ai King Crimson e ai Genesis sono evidenti sin dalle prime note di “Ahimsa”, molto empatica nella sezione centrale dei suoi oltre sei minuti. Tastiere e moog introducono la vibrante “The Kisser”, in un alternanza tra stasi e assenza di freni inibitori, mentre gli arpeggi e il moog in “The Rose” suonano alienanti e a tratti inquieti, sostenuti da basso e batteria che, con precisione metronomica, scandiscono un ritmo regolare. “Gregorius” irrompe energicamente per poi abbandonarsi alla fluttuante chitarra elettrica nel sottofondo del moog e delle tastiere, mentre suona malinconica “Lost People”, lasciando trapelare un dolore mai sopito nel ricordo di persone che non sono più presenti tra noi. Il delicato inizio di “A Little Something” prepara il terreno ad un’evoluzione emotiva di un brano dal grande impatto emotivo, e apre la via alla chiusura del disco con “Past Is Over” in cui la sintonia della band emerge senza ombra di dubbio. Un lavoro, quello degli esordienti Giant The Vine, che non lascia nulla al caso: ogni arpeggio, ogni passaggio di basso-batteria, ogni colorata finitura di tastiere si inseriscono lì, dove devono essere per creare quell’atmosfera che riporta indietro le lancette dell’orologio alla grandiosità del Rock Progressive. Un disco strumentale che lascia aperta all’ascoltatore la porta della fantasia nel riempire di colori e immagini ciò che la musica è in grado di trasmettere. (Angelo Torre)