PINK FLOYD "The dark side of the moon"
(1973 )
Il generale ha ormai schierato le sue truppe da tempo, ogni cosa è al suo posto, gli armamenti sono forti e carichi, non resta che sferrare l’attacco finale. Questo è “The Dark Side Of The Moon”, uno dei dischi più controversi e famosi di sempre, summa stilistica di un percorso lungo e impervio.
Un’ininterrotta trance sonora che fluttua nell’aere e ammanta tutto con una trama di suoni levigati come mai in precedenza. La rivoluzione non è fatta dalle semplici canzoni, qui buone ma non particolarmente uniche, bensì da un impatto sonoro coinvolgente ed affascinante fino allo spasmo.
Gli elementi che componevano i dischi precedenti vengono unificati per dar forma ad un linguaggio più semplice ed immediato; gettando le basi per una nuova corrente musicale, ancora da scoprire.
Brevi canzoni dalle melodie godibilissime, affrescate su di un intonaco musicale stupendamente indefinito; una sorta di incedere costante che dilata sempre più il suo campo d’azione. Il tutto condito dal concept sull’alienazione, forse un po’ artificioso, ma calzante e ben amalgamato.
Il battito di un cuore ci introduce alla quiescente “Breathe”; un respiro profondo, il ritmo disteso e la melodia vacua danno inizio alle danze, giocate tutte sul puro piacere uditivo. Piacere che i Pink Floyd appagano in questo disco come forse nessun altro farà in futuro.
La psichedelia di “On The Run” non deve confondere, perché la fuga affannosa porta all’ombreggiante introduzione di “Time”; quest’ultimo è uno dei pezzi rock migliori del gruppo, slanciato e suadente quanto basta per conquistare al primo ascolto.
Segue il brano più spiazzante del lavoro: le dolci note di Wright che accompagnano il folle vocalizzo di Clare Torry in “The Great Gig In The Sky”. E' il vero manifesto dell’opera, il grido isterico si contrappone magnificamente alle musiche distese, in un topos musicale del tutto nuovo; ordinaria follia.
“Money” è la hit da classifica, tra il suono delle monete e la chitarra acida di Gilmour, Waters critica timidamente la società: tutto sommato non male, un po’ fuori luogo, ma trascinante ed inconfondibile.
“Us And Them” prosegue nella conquista dei sensi; musica da assuefazione, stupore ed incanto (affascinate il sax); nel finale le bordate elettriche di “Any Color You Like” decretano il momento più straniante del disco. Il finale è affidato allo slancio di “Brain Damage”-“Eclipse”, semplici melodie, perfette ed intelaiate in uno schema musicale impeccabile.
Difficile dare una definizione a questa musica; i riferimenti sono troppi e troppo ben amalgamanti per poter essere individuati. Siamo di fronte ad una sorta di corpo nero; un qualcosa che ingloba in sé innumerevoli elementi. Si passa dal progressive, al pop, all’elettronica, alla psichedelica, alla musica concreta, passando per l’hard rock più gustoso.
Non è però difficile definire questo lavoro come punto d’incontro della maggior parte delle correnti musicali del tempo; il tutto reso con la maggior semplicità ed immediatezza possibili. Giunti alla fine dei dieci brani, risulta evidente il motivo per cui questo album ha venduto così tante copie; è il piacere puro in forma di musica; se il songwriting non è personale come in passato e le atmosfere meno particolari, di certo ne guadagna la fruibilità e la compattezza.
Sono convinto che “The Dark Side Of The Moon” sia uno degli album che meglio rappresenta il rock; è il manifesto del rock come perfezione formale, come gusto dell’ascolto, come pace dei sensi. In questo ambito, il disco è probabilmente ancora insuperato. (Fabio Busi)