recensioni dischi
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THE LUST SYNDICATE  "Capitalism is cannibalism"
   (2019 )

Simone Salvatori ci ha abituati al suo universo industrial pop decadente, con gli Spiritual Front. Il suo nuovo progetto, The Lust Syndicate, spinge la blasfemia e l’oscurità verso ambiti politici e sociali, in maniera inequivocabile fin dal titolo dell’album d’esordio: “Capitalism is cannibalism”. Ad accompagnarlo in questo lavoro fatto di percussioni martellanti e basse taglienti, leggiamo nomi di attori ed occultisti. Non c’è pausa in queste 12 tracce, il Comitato della Lussuria ci pone di fronte a riflessioni scomode su musica scomoda. Tre brani sono degli “Statements”, ovvero affermazioni, dichiarazioni, e la prima apre l’LP: “Consenting victims”. Sopra un ambiente sonoro ostile, che comprende catene tintinnanti, la voce di Micheal DE Victor proclama: “Freedom scares you (…) Why is your readiness to serve so deep rooted, that it makes the (…) rebellion unnatural and obscene? (…) Wake up, don’t bury your head”. Gli ammonimenti proseguono in “Death moves towards us”: “While the world is collapsing you turn your back”, così come in “Utopia as violence”, sopra un basso sintetico vibrante. La seconda “Statement” si chiama “Flattering of humanity”, che alza il livello del disturbo noise, con distorsioni che sembrano motori. Qui, l’attore Mark Thompson Ashworth recita altre filippiche: “Every right diversity is trashed, everyone is another and no one is itself (…) a unique mode of thinking (…) the commercialization of everything (…) the economic fundamentalism”. Ancora suoni perforanti in “One creed”, mentre in “From despair to barbarism” si dichiara “the death of community, the death of ideal”, sopra un rullante triggerato ottantiano. “Deserted future” arricchisce le trame rumoristiche con percussioni, e poi giunge l’ora della terza e ultima “Statement”, la più drammatica: “The united states of slavery”. “The new financial aristocracy will drag your disintegrated bones to the sea, to the desert, mass deportation (…) evolution through enslavement (…) identity denied”. Se l’aristocrazia finanziaria, che trasforma ogni identità in un unico calderone informe e globalizzato, viene qui citata, poi diventa il titolo del successivo brano, “Financial aristocracy”, dove udiamo battiti aggressivi e la classica sirena d’allarme, usatissima in tutti i progetti “anti”. E se negli Spiritual Front potevamo ascoltare tracce come “Jesus died in Las Vegas”, ora è il momento di “Black virgin – Stabbed Jesus”, dove la voce baritonale di Simone canta: “I am the black virgin that stabbed Jesus Christ”. Dopo la titletrack “Capitalism is cannibalism”, dove tra i battiti distorti c’è una campanella come quella dei passaggi a livello, che ricorda l’ordine e la disciplina delle catene di montaggio, l’album si chiude con l’ultima definitiva immagine blasfema: “The word of God (is his sperm)”, che satura lo spettro delle frequenze con un rumore rosa costante sotto le urla. Se gli Spiritual Front sono un progetto in fondo dotato di un certo approccio pop che lo rende fruibile, The Lust Syndicate è un concetto più ostico e più sfrontato, che punta a dar fastidio e a gettare i semi del pensiero tra gli ascoltatori. (Gilberto Ongaro)