recensioni dischi
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THE PROGERIANS  "Crush the wise men who refuse to submit"
   (2019 )

Già ascoltando i primi due brani del nuovo lavoro dei Progerians, si nota una certa tensione narrativa. “Crush the wise men who refuse to submit” è la seconda prova della band belga, già acclamata all’esordio discografico nel 2015. Il loro sound punk – doom – sludge ci trasporta in situazioni dilatate e paurose, che risultano avvincenti. Il primo capitolo si chiama “Frankie leads to death” e sono 11 minuti di decadenza, accentuata da un riff cromatico. All’inizio la voce canta su scala misolidia, aumentando il senso di mistero. I feedback conclusivi si collegano al secondo brano, “Destitute”, caratterizzato da un riff avventuroso, mentre “Hold your cross” è resa straniante dalla presenza di una parte in rap terzinato, in francese e spagnolo. Da notare l’accelerazione progressiva al centro del brano. Ma nella voce, qui, l’anima punk si sente chiara e forte. Un suono tagliente per note statiche di basso apre “Oceania”, che quando deflagra offre un dialogo tra cantato e armonia dal taglio drammatico. In coda a questo oceano distorto, si staglia inaspettato un cupo pianoforte, dove gli arpeggi dialogano con un impulso elettrico. Nonostante l’estetica “sporca”, si nota una strutturazione dei brani e un pathos interpretativo che supera le definizioni di sottogenere, per sfiorare lo stato dell’arte. Un art rock, che nel brano successivo mostra i denti, giungendo al concetto centrale del disco: “Crush the wise men”. I giochi sugli accenti di “Hello World” sono degni di quelli dei Tool, e la chitarra “solista” vira in un noise di pregio. La voce urla, lasciata per un po’ da sola col basso cadenzato, in attesa della ripartenza di batteria e chitarra. “Graven” viene avviata da un piano elettrico allarmato, per poi rivelarsi un 6/8 cantato in maniera corale. Nonostante la velocità moderata del trascinante pezzo “Netjeret”, il cantante si raccomanda: “Don’t slow down, just don’t slow down”. Timpani e tom aprono in maniera solenne il brano di chiusura, “Your manifest”, mentre la chitarra esegue un cromatismo discendente, che è diffuso in tutto l’album in più episodi. E si conclude con una certa maestosa sobrietà. Signore e signori, abbiamo la rivelazione del 2019! (Gilberto Ongaro)