ANNA OX "Back air falcon dive"
(2019 )
Nei due minuti iniziali dell’opener “Fucsite” ho seriamente pensato che avrei considerato “Back Air Falcon Dive”, nuova fatica per Laroom/To Lose La Track del quartetto vigevanese Anna Ox (la prima sotto questo moniker, dopo un lavoro come Gioaccardo e due come Elk), l’ennesima declinazione del verbo post-rock.
Sottogenere che peraltro amo alla follia, ma che – diciamolo – di rado riserva grosse sorprese o spinge nuove idee. Con piacere, mi sono accorto poco più tardi di avere completamente sbagliato la mira. E che “Back Air Falcon Dive” dal post-rock tradizionale degli ultimi quindici anni dista anni luce. Per intenzione, resa, idee e sviluppi.
Anzi, fa davvero qualcosa di nuovo, insolito, disallineato: imbastardisce le consuete trame chitarristiche con uno strano miscuglio di elettronica e beat cosmopolita. Ibrida, sperimenta, azzarda. Al minuto 2 e 4 secondi della già citata “Fucsite” entra addirittura il rap del californiano Adam Vida, ben incastrato fra le divagazioni delle chitarre, nemmeno il pezzo fosse stato scritto apposta per produrre esiti spiazzanti ed inattesi. Roba che c’entra come la Falanghina con la costata di manzo, ma che funziona egregiamente: è il solo contributo vocale – peraltro voluto dallo stesso Adam Vida – dell’album, che per il resto si muove lungo direttrici sibilline e mesmerizzanti, remiscelando in fogge inusuali la sua scoperta tendenza al sincretismo.
Se in “Jjungle” fanno capolino suggestioni math trascinate dalle maestose dinamiche del basso di Guido Ghilardi, ed in “Base1” sono i suoni a creare un che di ipnotico, nel capolavoro “Guile” la trama sfrutta un gioco di alchimie, tessiture e ricami imperniati su una figura ritmica contornata dall’intreccio di svariate linee melodiche discendenti spurie dei Vampire Weekend più rarefatti, mentre “Jean Valjean” arranca svogliata e catatonica nella sua slackness suadente e lontana: mi ricorda le atmosfere dei grandi Ronin di Bruno Dorella (periodo “Fenice”), musica per un film immaginario resa di statuaria intensità dalla deflagrazione sistemata ad arte in una coda tesa e densa.
Davvero: non è post-rock, chiedo scusa.
Arduo stabilire di cosa si tratti, ma il merito principale - affatto trascurabile - di “Back Air Falcon Dive” è forse proprio quello di coniare un linguaggio che si nutre di ingredienti di non immediata coesistenza. L’emblema sono i sei minuti e mezzo della conclusiva “Lady Isabel”, centro di gravità permanente equidistante da tutto: echi trip-hop, lounge raffinata e ambient à la Bark Psychosis fusi in una road to nowhere che collassa in tre minuti di dilatazioni da Desertshore, drone music, echi floydiani e chissà cos’altro. E nemmeno mezz'ora prima un tizio di San Francisco stava rappando su una base che base non è.
Album pregevole: incatalogabile, ineffabile, lodevole tentativo di dar vita ad una mirabile sintesi di elementi figli di una contemporaneità interpretata con lucidità e disincanto. (Manuel Maverna)