recensioni dischi
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ACAJOU  "Under the skin"
   (2019 )

Sembra passata un’era dalla nascita degli Acajou (1993), band patavina che si era accreditata, a cavallo degli anni novanta, come una delle più interessanti realtà italiane in ambito stoner. L’esordio discografico arrivò nel 2000 e i primi anni del secolo si rivelarono parecchio prolifici per la band, che confezionò altri lavori, mai pubblicati ufficialmente, ma ai tempi reperibili nei meandri del web. Dopo una fase di inattività, la band venne rifondata una prima volta nel 2009 e poi nel 2014, con una formazione radicalmente rinnovata e un sound aperto a scenari forse inimmaginabili un quarto di secolo fa. Il primo disco di questo nuovo capitolo della storia degli Acajou ha visto la luce lo scorso mese, si intitola “Under The Skin” e si stacca in maniera netta dallo stoner degli esordi per avventurarsi in sonorità tra il blues e il funk, non prive però di una componente rock che diventa grunge nei passaggi più tesi e incisivi. Se brani come “We’ve Never Met” cambiano pelle lentamente, esplodendo dopo un avvio in levare, è forse la titletrack a rappresentare, più di qualsiasi altro brano, l’inizio di un nuovo corso, con un blues lento e un po’ trasognato. Non è l’unico momento in cui i suoni si fanno rarefatti: “Jeez (In The Mood For Love)” disegna ancora sorprendenti ambientazioni eteree, prima che “Dim Noise” chiuda con il suo incedere incalzante. “Under The Skin” rischia di cambiare la composizione degli ascoltatori degli Acajou, potenzialmente deludendo qualche fedelissimo per aprirsi a fasce di pubblico nuove, ma è indubbiamente un bel lavoro, figlio di tante buone idee e della grande tecnica dei (nuovi) Acajou. (Piergiuseppe Lippolis)