MURUBUTU "Tenebra è la notte (ed altri racconti di buio e crepuscoli)"
(2019 )
Nel 1994, allo Zecchino d’Oro usciva “Scuola rap”, dove si immaginava un insegnante che interrogasse gli allievi rappando. Da dieci anni, il docente di filosofia e storia Alessio Mariani, alias Murubutu, realizza questa profezia, con un risultato notevole. L’intuizione di unire la letteratura al rap ha portato Murubutu, nella sua carriera solista, a produrre cinque album, a partire dal 2009. L’ultimo appena uscito è “Tenebra è la notte (ed altri racconti di buio e crepuscoli)”. Il concept che circonda tutti i brani è quello della notte, tanto che tutte le tracce sono collegate dal rumore dei grilli. L’introduzione e l’outro si intitolano “Nyx”, nome della primordiale divinità greca che rappresenta la notte (Nyx è una figura piuttosto ricorrente: ispira metallari, proggers e anche rappers in questo caso). Tra le collaborazioni compaiono nomi altisonanti, come quello di Caparezza in “Wordsworth”, Mezzosangue in “L’uomo senza sonno”, Dutch Nazari e Willie Peyote in “Occhiali da luna”. La voce di Murubutu si mantiene sospirata e bassa quasi per tutto il disco, come a voler comunicare direttamente con la coscienza dell’ascoltatore. Le rime sono chiuse con grande maestria, e i testi come sempre presentano un italiano ricercato ed ineccepibile. Tanti gli autori citati, da Dostoevskij a Neruda. Gli arrangiamenti seguono l’ambientazione notturna delle parole, e qua e là torna l’arte dello scratching, focalizzandosi sulla deformazione della voce. Questo gioco solitamente è usato come passaggio nei ponti delle canzoni, invece ne “La stella e il marinaio” diventa parte dialogante con quella vocale. L’ispirazione spesso e volentieri guarda alla volta celeste, e fa comparire “il quadrato di Cassiopea” (“Buio”), “Lassù, nella galassia nel blu della Via Lattea, c’è la sua carta nautica che porta a casa” (“La stella e il marinaio”), che poi finisce con una grande suggestione: “Il pubblico di stelle, applaudendo, lasciò il teatro”. Le stelle sono protagoniste anche ne “La notte di San Lorenzo”, toccante racconto di osservazione delle stelle cadenti da un paesino, che però per un bambino era tutto il mondo. Il pensiero va ai sognatori diffusi in queste piccole realtà: “Cercatori di comete nei feudi dispersi”. Profondo il ritornello: “Le stelle non moriranno mai, e senza credere nell’aldilà”. “La vita dopo la notte” narra di una coppia che si è amata per sempre, invecchiando insieme “in via Pascal”. Nella canzone, si dice che anche dopo la morte, in via Pascal si sentano ancora danzare insieme. La mitologia prosegue con “Le notti bianche”, narrazione a proposito di una “fata” che forse era una “maga nera, dama austera”, ma i personaggi che incontra non sono proprio fiabeschi: “Risate roche di fumatori incalliti che si trasformano in liti, su quei bicchieri branditi da mani gialle, gremiti dalla tristezza che non li ha guariti”. Nell’arrangiamento una voce femminile porta violentemente all’emozione, mentre Murubutu incalza col refrain: “E lei aveva l’aria dolce di una vita amara, che seminava tempesta”. I racconti sono tanti (tredici, escludendo intro ed outro), ed è impossibile riportare un pezzo di tutti qui, ma ci sarebbero ancora tanti aforismi da ricavare, da questo lavoro. Ma sono sicuro che dopo “La notte di San Bartolomeo”, gli studenti ricorderanno meglio l’episodio della strage degli Ugonotti a Parigi, di mano cattolica, del 1572. E potranno appassionarsi alla corrispondenza tra Franz Kafka e Milena Jenenskà (“Franz e Milena”), l’uno noto scrittore, l’altra giornalista ceca, morta nel campo di concentramento di Ravensbrück nel 1944. L’importante è ammirare il fascino della notte, che dà spazio ai pensieri in maniera più libera, rispetto agli opprimenti doveri da svolgere con la luce; e questo viene ricordato da Mezzosangue in un sagace verso in “L’uomo senza sonno”: “Ora respira forte, perché fuori è giorno pesto!”. (Gilberto Ongaro)