recensioni dischi
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NI  "Pantophobie"
   (2019 )

In una grigia area di confine tra i più infidi sommovimenti degli abissi noise si insinua – soffocante ed impervia – l’elettricità malevola sprigionata dalle undici tracce di “Pantophobie”, elaborato ritorno su etichetta Dure et Doux per il quartetto francese Ni a tre anni di distanza da “Les Insurgés de Romilly”.

Un’aura mistica ed esoterica straziata da grida luciferine avvolge un’opera di vocazione avant, miscuglio opprimente di moltissimo math-rock condito da tracce di metal deviato, divagazioni cameristiche, prog mascherato. E’ musica composita che nasce da una prospettiva colta: non violenta, snervante piuttosto. Fredda e metronomica, insiste su trame asfittiche segnate da un costante sferragliare, sinfonia singhiozzante che procede tra clangori metallici ed urla demoniache mentre la ritmica si spezza di continuo in partiture complesse memori talora dei Battles, di rado (i sette minuti di “Athazagoraphobie”) segnate da una melodia saliente o compiuta.

Tormento ed estasi si susseguono tra acidi vocalizzi inintelligibili ed inattese proiezioni sudamericaneggianti (“Catagelophobie”), sfiorando la calcolata frenesia dei Primus (“Alektorophobie”, “Lalophobie”) come suggestioni atemporali oscillanti - sbilenche e sinistre - tra echi di Steve Albini e contorsioni zappiane (“Stasophobie”). Lavoro arduo da digerire, ma a suo modo notevole, antitesi dell’immediatezza da consumo rapido, emblematico di una scrittura in bilico tra sperimentazione e cerebrale compiacimento. (Manuel Maverna)