recensioni dischi
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KORA BEAT  "Yakar"
   (2019 )

Il fronte afrofunk è sempre denso di piacevoli vibrazioni, ed interessanti incontri fra tradizione e modernità. I Kora Beat sono una formazione italo – senegalese, dove un sound prettamente fusion, con basso virtuoso che tesse groove irresistibili assieme a batteria e percussioni, accompagna il sassofono nel suo dialogare con la kora, cordofono tipico dell’Africa Occidentale, che si presenta come una voluminosa arpa – liuto. Sopra tutto ciò, la voce di Cheikh Fall intona in senegalese testi che, partendo proverbi e leggende, fanno riferimento a spaccati di cruda realtà. Il nuovo album “Yakar”, uscito per K-Brothers, comprende tutto questo: si apre con “Wiri wiri (Djarindare)”, melodia che si attacca alla memoria da subito, con un andamento tribale (ribatte sulla quarta e la terza minore, nel suo ritornello, in maniera molto blues). “Wiri wiri” significa “gira, gira e torna all’inizio”, e qui narra di un ragazzo ambizioso in difficoltà, guidato da un saggio. “Al-Demba (Talibe)” affronta invece le disparità tra i bambini scolarizzati e quelli poveri, che non hanno accesso agli stessi diritti ma anche alla stessa considerazione umana. Qui il sax si mostra particolarmente vivace, ma l’aspetto più entusiasmante sono i passaggi all’unisono, come l’attacco di “Ndayane” e durante il brano, poco prima dell’inizio del cantato. Che, leggendo la presentazione, racconta un episodio tragico: quello di Comba, un’orfana che assiste all’uccisione di una sua amica da parte di animali feroci. Di segno positivo invece il mito di “Mbadane”, già ripreso in passato da Youssou N’Dour. Si narra che i francesi volessero costruire un’autostrada che doveva passare per Mbadane, in Senegal, e nel percorso dovevano tagliare un albero di tamarindo. Ma una serie di sventure rese impossibile l’abbattimento. Oggi l’albero è ancora vivo, e si sono costruite attorno scuole e una moschea. La musica, in questo caso, lascia i tempi sincopati del funk e assume una filigrana soffice (in 6/4), dove la kora diventa protagonista. L’unico che non riesce a star calmo è sempre il bassista, ma è sempre agitato in maniera pertinente con l’umore del pezzo, mai fine a sé stesso. Ma ecco tornare gli obbligati stupendi di sax e basso in “Changé?”, dove percussioni e batteria si esprimono al massimo, sempre sullo sfondo tematico del colonialismo, che ha diviso arbitrariamente l’Africa Occidentale in nazioni che non coincidono con le reali identità dei popoli. Ma adesso, accompagnati dalla voce dell’ospite italo-somala Saba Anglana e una musica che si mantiene serena, entriamo in un argomento doloroso con “In the deep”: la tragedia dei migranti che annegano in mare. Però, qui c’è un tenero esempio di mitopoiesi contemporanea, ovvero la creazione di un mito, che avviene nel momento in cui la realtà di riferimento si sta svolgendo. Infatti, i protagonisti del brano non sono i rifugiati nel Sahara, bensì un uccello che li osserva dall’alto, e che ne parla con un pesce. Quando vede la fine che fanno, chiede al pesce di avere cura di loro. Non credo serva aggiungere altro. Animali e alberi magici tornano in “Nguenel”, dove la musica da serena diventa festosa ed allegra, entrando nel reggae, per raccontare in maniera allegorica di Maometto, e dell’Islam come religione di pace. Ma “Kaiira” invece, si riferisce alla tradizione autoctona africana. E’ un canto spiritual dei poeti cantori griot, arrangiato qui à la Weather Report, sempre con un basso da panico e con galvanizzanti parti all’unisono tra basso, kora e sax. Non si può non ballare, neanche da seduti. Con “Bayo”, Cheikh Fall omaggia il defunto padre, ma in generale riflette sull’aldilà, sopra ritmi percussivi serrati e una vivacità d’arrangiamento che sa di resilienza. L’album si chiude di nuovo con i colonizzatori francesi, facendo riferimento a un preciso episodio storico, in “Tirailleur”. Nel 1944 ci fu un massacro di soldati africani a Thiaroye; ma prima di arrivare al racconto, dove Fall canta con vocalizzi che fanno sentire la sua contaminazione araba, c’è una parte strumentale agitatissima, e anche dopo, sotto l’assolo di kora, quando le percussioni vengono battute rapidissimamente ottenendo delle mitragliate. Kora Beat è una realtà musicale appassionante, da sostenere e promuovere senza indugio. Testi vissuti sulla pelle, musica ricercata e divertente allo stesso tempo. Cosa chiedere di più? (Gilberto Ongaro)