recensioni dischi
   torna all'elenco


MARCH DIVISION  "Rain empire"
   (2019 )

Il collettivo milanese March Division, attualmente capitanato da Andy Vitali, è tornato con un nuovo album, “Rain Empire”, incentrato sul sintetizzatore JUNO e in direzione synth pop, ripescando i suoni degli anni Ottanta, per descrivere un prossimo scenario post apocalittico. Il paradosso fra passato e futuro porta all’annullamento del presente, condizione tipica della generazione precaria. Le atmosfere sono grigie ma spesso ballabili, come in “Pale noon”, con la quale sembra di correre in una metropolitana di Berlino, o come in “The last call”, dove il protagonista del testo è un robot; o come in “Stone cold sober”, dove su un ritmo da indie rock e una voce compressa si descrivono i postumi di una sbronza. Mentre l’arpeggio angoscioso di “Bleeding star” ci porta in una ballata più riflessiva. Il sound spesso si fa saturo, come in “Hearts of fire”, che viene definita electro-western, forse per l’aggiunta di un inciso di armonica a bocca. La titletrack insiste nell’oscurità di una tonalità minore, marcata anche nelle doppie voci cantate. “People” viaggia sull’orecchiabilità e parla della fobia di stare in mezzo alla gente (“not allowed to breath”), tema che si addice sempre alla musica claustrofobica electro anni ’80. I battiti sono ancora più rapidi in “Phonomania”, canzone scritta nel 2008 ma pubblicata ora, sulla dipendenza attuale da smartphone. Tra i suoni new wave si fa spazio un assolo di chitarra elettrica. “Shake me gently” e “We don’t belong down here” sono due canzoni legate fra loro, in quanto nate nello stesso processo compositivo. Il leit motiv è sempre quello, malinconia e ritmo dritto e costante, come anche in “U.F.O.”, dove l’alienazione si fa esplicita. Strano shuffle quello di “Kyoto sun”, dove le tastiere tengono un loop melodico sulle cinque note della scala orientale, su un andamento da Rockets in “On the road again”, però con meno brio e più rugiada. Più che rappresentare un’ambientazione esterna post apocalittica, questo sentore di residuo, di calcinacci abbandonati e tubi di cemento che gocciolano, sembra una descrizione interiore, delle persone che hanno visto il passato dei genitori nei fasti del boom economico, e che ora raccolgono le briciole, lasciate dalla bolla esplosa ancora nel 2007-8. (Gilberto Ongaro)