recensioni dischi
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DEER  "There's no future "
   (2019 )

Band messicana con base a Hong Kong, i Deer sono un duo di musica alternative fortemente influenzato da elettronica, synth-pop, rock e cantautorato anglosassone. ''There’s No Future'' è il loro primo album, e fonde arrangiamenti simili agli ultimi lavori di Nick Cave con sonorità vicine a band come xx e cantautrici come Sharon Van Etten.

Il disco si apre con la title track, un pezzo potente e nostalgico, pieno di emozioni vibranti e atmosfere fumose, dove la voce descrive una sorta di apocalisse che è in corso: il mondo sta bruciando e il duo sta osservando, senza troppa empatia, la distruzione di una specie, quella umana, che ha causato tanti benefici quanti danni al pianeta sul quale vive. Basso protagonista insieme a batteria e voce, che creano un tappeto sonoro alienante e spaventoso. Segue “Deaf”, un’esplosione sonora altrettanto carica, dove le sonorità elettroniche sono maggiormente presenti, e che si conclude con delle grida disperate attraverso le quali il duo prova a chiedere aiuto a un’umanità sempre più egoistica e cinica. “Wailing Wood” è sporca e sanguigna, combattiva e speranzosa: una melodia pop si fa strada in un tappeto sonoro che pare rappresentare il giorno dopo l’apocalisse, dove l’umanità resiliente prova a ricostruire qualcosa dopo la distruzione quasi totale; scariche di synth e basso e batteria cupi si amalgamano con una voce che esprime invece positività. “Tell Tale-H” è più sperimentale; rimane, però, sottotraccia un certo stilema folk-rock: si rintraccia qui il sound di certo cantautorato contemporaneo (l’ultimo Cave, Van Etten, Mitski, persino xx).

Nella seconda parte del disco, “Biting a Spectrum” apre le danze e crea nuovamente un tappeto sonoro folle e ruvido; la voce qui rappresenta la follia organizzata di chi sa che tutto sta per crollare e quasi ne gode. “Dead Souls” è una critica all’umanità contemporanea, distrutta dall’avidità e convinta che la politica corrotta possa aiutare la gente; la voce spersonalizzata racchiude freddezza, disillusione, rassegnazione. La conclusione di questo ottimo album d’esordio dei Deer è la sintomatica “The End of Times”: a essere protagonista del brano è ancora l’apocalisse, vissuta qui in modo inesorabile e quasi piacevole, una sorta di liberazione epicurea dal male, che in questi due minuti di pianoforte e rumori inquietanti destabilizza ma al tempo stesso tranquillizza lo spettatore, che ormai sa a cosa sta andando incontro… (Samuele Conficoni)