recensioni dischi
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SINOATH  "Anamnesis"
   (2019 )

Appena emessi i primi vagiti degli anni ’90, uscì allo scoperto una delle band più longeve del doom-metal: i Sinoath, a tal punto che molte band in circolazione li citano come punto di riferimento. Questa influenza può generarsi solo se l’arte creativa risulti spontanea e ricercata, senza pensare che possa determinare un magico impatto su altri. I Sinoath non sono mai stati interessati a trattare tematiche sociali e retoriche, ma si sono sempre indirizzati su argomentazioni spirituali in chiaro-scuro, come il rapporto tra la vita e la morte, la sinergia tra vivi e incursioni filo-horror, senza mai correre il rischio di intrappolarsi nei clichè di genere e suonando solo ciò che gli detta il cuore, infischiandosene del trend musicale del momento. Se vogliamo, di primo acchito, il nuovo album “Anamnesis” magari suonerà un po’ vintage ma, prestando un ascolto più vigile, si scorgeranno varianti di non poco conto, protese ad armonizzare il tutto. All’ingresso, c’è la title-track, alquanto meteoropatica, capace di sfilare con una rassegna di umori catalizzanti e litanici, mentre con “Saturnalia” i ragazzi alzano gli amplificatori per darci dentro di brutto con un’efferato grunge-metal, tra grinta e misticismo. La dolente chitarra di “The absolute nowhere” commenta, con varianti caratteriali, un brano dal camaleontico aspetto: condizione necessaria per non annoiare nei 10 minuti di durata. La virulenta “Join us” asfalta l’orecchio senza mezzi termini, sfoggiando grinta a profusione. Se una band rimane per decenni sulla scena lo si deve, in primis, al rinnovamento concettuale, in quanto i Sinoath sono sempre stati capaci di offrire nuove tematiche introspettive, culturali, astrologiche, esoteriche, quasi a voler sintonizzare telepaticamente le proprie onde con il cuore di chi li segue creando un’incrollabile empatia. Ora, “A journey unknown” non è propriamente un “viaggio sconosciuto” ma una bella visione heavy-doom, palesato dall’efficienza narrativa di Francesco Cucinotta, che sa catapultarsi bene dentro i meandri orrorifici dell’Ade. Mentre la strumentale estranianza di “Hyperuranius” calamita negli abissi della follia, i raffinati arpeggi dell’ultimo atto, “Arcadia”, ondeggiano in malinconici accordi e cupe atmosfere. “Anamnesis” non si riferisce alla raccolta medica di informazioni ma si ispira al Mito della caverna di Platone e già questa è la riprova dell’ennesima, dotta rilettura del Doom poiché, se trattato con nuovi innesti e contaminazioni attualizzate, il genere in questione potrà continuare la sua perdurante storia per ulteriori trent’anni: proprio come i Sinoath. (Max Casali)