recensioni dischi
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SAINTAPOLLINAIRE  "Principiante della vita"
   (2019 )

Dietro al nome Saintapollinaire si nasconde il chitarrista Andrea D’Accico. Il suo progetto prende ispirazione dalla spiaggia di Santapollinare (BR), dalla quale emergono ricordi e suggestioni tradotte in jazz d’autore. L’album autoprodotto “Principiante della vita” contiene la fine di storie d’amore, nostalgie, in una parola saudade, tra accordi di settima minore, assoli di sax e tromba, batteria soft e contrabbasso. Per le melodie cantate, prestano la voce diverse interpreti: Dionisia Cassiano, Domy Siciliano, Giorgia Faraone, e nell’ultimo pezzo la voce maschile di Raffaele Passante. In “Goodbye”, tra le malinconiche parole c’è anche spazio per un po’ di scat. “Bird” è un tipico swing, col charlie della batteria che fa z-zss, z-zss… Il sax fa da controcanto alla voce, poi diventa protagonista, anticipato dal testo: “Poi prende il sax ed inizia a suonar, tutto il mondo inizia a tremar, si domanda come fa?”. Si swinga ancora in “98”, dedicata alla nonna: “Non avrai più bisogno di credere”. La chitarra di Andrea ammorbidisce il dolore delle parole, con armonie composite e ritmica vivace. Mentre in “Pelle scura” strizza l’occhio a certe progressioni sudamericane, dove trova spazio il flauto, che risponde all’osservazione appassionata: “Occhi che incantano e raccontano storie, il vento ti spettina e mi avvolge col tuo odore”. Come se fosse un classico italiano anni ’50 di Mina, poi, s’innalza la melodia di “Ho perso il gusto”, in un 6/8 che la batteria tratta in strofa come un leggero valzer. Il violoncello commenta le languide parole: “Ma non provo niente, non sento niente, ho solo voglia di sparire”. Un pezzo strano, il successivo “Lettera al sig. Amore”, soffice ma mantenuto agitato da un agile basso elettrico. Il testo è una barriera difensiva ai sentimenti: “Rendimi immune alla sofferenza. Gelido privo di sentimenti, non voglio perdere ancora. Evita di piacermi, non sorridere”. Per certi versi teatrale, “Saturno” è un’espressione di desideri: “Io, se potessi, con un interruttore accenderei il sole a tutte le ore. Andrei nello spazio a dipingere il buio (…) mi aggrappo con le unghie e coi denti a falsi ricordi e illusioni”. Fa da contraltare “La realtà”, entità cinica che riporta coi piedi a terra: “La realtà mi sconfigge, si prende gioco di me, si manifesta insensibile, non si accontenta di vincere”. Particolare l’introduzione sospesa de “La città cambia come noi”, per un’ambientazione solitaria urbana, fra il bar e il tram, fra il caffè e la nebbia. Alla fine, tra sogni spezzati e realtà impietosa, l’ultima canzone è un’accettazione della propria ingenuità, che è poi la titletrack: “Non vedi che non sento più niente? La rabbia che mi brucia la pelle. Resto un principiante della vita”. Il brano, cantato quasi sottovoce, chiude un LP intimista, suonato in punta di piedi per non fare rumore ed esprimere gentilmente la malinconia. (Gilberto Ongaro)