recensioni dischi
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SUBTREES  "Polluted roots"
   (2019 )

Dopo l’EP “On a broken rope”, i Subtrees debuttano con l’album “Polluted Roots”, che in sette canzoni delinea il proprio stile. Il suono del grunge anni ’90 si sente nitidamente in ogni dove, però i brani sono strutturati in maniera dilatata, tale da raggiungere una sorta di “grunge psichedelico”, affine alle fusioni fatte all’epoca dagli Smashing Pumpkins, che tra i nomi d’oro dell’epoca erano i più distanti dalla scena di Seattle (non solo geograficamente), ma che ci si sono trovati accostati, coerenti con lo spirito del tempo. L’Lp è aperto da “Syngamy”, strumentale trascinante; poi “Everything’s beautiful, nothing hurts”, pezzo dal titolo decisamente sarcastico, presenta la voce sofferta e graffiante. Lungi dall’essere semplici brani on/off, quelli tipici dei classici gruppetti locali, qui ci sono parti diversificate, come una zona di soli arpeggi di chitarra e ride di batteria, che rende un’atmosfera sospesa e d’attesa. Il tutto poi è un concept album, le prime quattro canzoni sono un unico flusso senza stacchi. “Conversation #1 (Hero’s death)” costruisce il riff su un 6/8+7/8, e un gioco simile c’è anche in “Reflection” (7/4+6/4). In “Conversation #2 (Adam’s resurrection)” le chitarre dosano sapientemente il tremolo e la distorsione: distorto è anche il basso, in chiave lo-fi, e la voce qui è particolarmente rabbiosa. Ma è l’andante e doloroso “Motorbyke” che raggiunge il picco drammatico, mentre “Jungle Overexposure” sottolinea la propria lentezza, il proprio essere decadente, specie nella lunga coda finale. Ci sono poche parole da dire, c’è solo da emozionarsi per questo disco, che porta ai nostri giorni l’umore degli anni ’90, aggiornato con sprazzi di post-rock anni ’00, in maniera autentica e credibile. (Gilberto Ongaro)