recensioni dischi
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JANA WINDEREN  "Spring bloom in the marginal ice zone"
   (2018 )

“There’s no way we can stop that”. Queste sono le drammatiche parole di Carlos Duarte, ecologista esperto di vita marina e di biologia oceanografica, riferendosi allo scioglimento dei ghiacciai nell’Artico. Estratte da un’intervista, dove si parla di diossido di carbonio, ecosistema, neve che scompare, Duarte ci avverte che il processo del riscaldamento globale è ormai irreversibile, e quello che possiamo fare oggi è solo imparare a convivere con l’imminente cambiamento climatico. Questo si sposa con la filosofia della Dark Ecology, un movimento ecologista “decadentista” fondato da Timothy Morton. Il suo approccio, più che razionale, vuole portare i propri lettori e seguaci ad una partecipazione emotiva, nell’affrontare il punto di vista ecologista. E fa qualcosa che va oltre (o accanto) l’attivismo concreto. Per questo scopo emozionale, la Dark Ecology assieme a Sonic Acts hanno commissionato questo lavoro di sound art a Jana Winderen, intitolato "Spring bloom in the marginal ice zone" ed appena uscito per Touch # Tone 65 Records. La quale, già esperta di ambienti freddi (vedasi “Interrupting the surface” del 2014), si è diretta nel mare di Barents, che sta fra Norvegia e Russia, appena sotto il Polo Nord. Ha posizionato i suoi microfoni sott’acqua, facendoci scoprire un mondo di suoni a noi sconosciuti. Per noi l’oceano è silenzioso, poiché percepiamo i suoni spostati dall’aria. Ma sott’acqua, gli animali comunicano con vibrazioni che ricevono nelle ossa. E così, grazie alla tecnologia acustica si apre un mondo di rumori sconosciuti, racchiusi in “Spring Bloom in the Marginal Ice Zone”, che è costituito da tre tracce. La prima è la sopracitata intervista a Carlos Duarte. Il succo sta nell’unica titletrack, sdoppiata per far sentire due differenti mix: “Headphone”, e “Speakers”. In totale si tratta di quasi 72 minuti in apnea, immersi nel mare, dove ascoltare il ghiaccio che gradualmente si rompe, l’acqua che gocciola o che trasporta i rimbombi, e le comunicazioni fra merluzzi, crostacei, balene ed orche. I pesci non arrivano a intervalli regolari, non c’è struttura musicale. Quando passano vicino ce ne accorgiamo, altrimenti restiamo soli fra le onde. Se finora i “canti delle balene” potevano essere una battuta ironica rivolta a certa “musica per installazioni”, ascoltando questa ci si può ricredere, e scoprire che gli oceani sono molto più rumorosi di quel che avessimo potuto pensare. E Jana, con il lavoro in post produzione, non snatura le peculiarità naturalistiche delle registrazioni, ma gioca con i rumori di fondo per renderli come fossero inquietanti drones. E così, rendendoli una sorta di minaccia verso questo vivace mondo blu, ci fa riflettere. (Gilberto Ongaro)